Non accenna a placarsi la rivolta contro i radar anti immigrati che la guardia di finanza vorrebbe installare lungo le coste sarde
CAGLIARI. C'è chi dice: «Sardi, state tranquilli, i nostri radar sono innocui». Sarebbero a prova di bambino, e non farebbero male, annunciano i benefattori, neanche a un pulcino. Sarà, ma allora perché a Siracusa, nell'oasi del Plemmirio, a mettersi di traverso è stato anche un ministro dell'ambiente? Stefania Prestigiacomo del Pdl ha detto no.E lo ha detto così forte da convincere le giacche militari che quella torre da trentasei metri sul livello del mare era meglio piazzarla altrove. Perché, in Sicilia, gli anti-radar hanno vinto, mentre sulla costa occidentale della Sardegna le parabole ormai spuntano dovunque? È un mistero nazional-militare, per chi da settimane fa scudo, col corpo, all'invasione degli «El/M-2226» della guardia di finanza, radar più traliccio, a Capo Sperone, una delle meraviglie di Sant'Antioco, a Capo Pecora, paradiso incontaminato di Fluminimaggiore, a Ischia Ruggia, resistente testimonianza di epoca spagnola nella stupenda penisola del Sinis, a Tresnuraghes, e ancora nella suggestiva borgata dell'Argentiera, nel Sassarese. Qua e là, a intervalli regolari lungo la costa ovest dell'isola, i militari sono decisi a prendersi dell'altro, forse tutto, paradiso compreso: perché? Dicono di farlo in nome della sicurezza, visto che con le «padelle» costruite in Israele, scruteranno il mare e bloccheranno, in acque internazionali, l'arrivo di scafisti e clandestini dal Nord Africa.
È strano l'ordine che i militari vogliono eseguire a tutti i costi, in Sardegna, perché se il Sulcis è una possibile alternativa a Lampedusa, cosa c'entra l'Argentiera? Sta a nord, come l'Asinara, altro possibile sito, da tutt'altra parte per gli schiavisti. La risposta arriva da «Almaviva Italia», che tempo fa ha vinto in solitaria l'appalto milionario per tessere la rete italiana del sistema «Fortezza Europa». Almaviva è una Spa, sede legale a Roma, appartiene alla famiglia Tripi, passata dai call center al consulting&tecnology per Equitalia, carabinieri e altre forze dell'ordine.
Ecco la sua risposta: «I radar di cui noi abbiamo l'esclusiva per l'Italia, siamo i concessionari dell'Elta System, serviranno a tenere non solo sotto controllo l'immigrazione, ma anche a fermare il traffico di droga, gli attacchi terroristici, il contrabbando e la pesca illegale». E come se non bastasse, nel carico, ci mettono anche qualcosa di umanitario: «A Lampedusa - svelano - i nostri impianti hanno salvato molti poveretti da morte sicura». Da chi li vende, gli «El/M» sono vantati per la loro capacità di intercettare - fino a cinquanta chilometri dalla costa - motoscafi e gommoni fuorilegge, anche i più piccoli, persino quelli che sul mare schizzano ad oltre dieci miglia di velocità. Eppure questi gioiellini tecnologici, sicuramente utili, nessuno li vuole sotto casa, davanti e tanto meno in paradiso.
Ormai sulla Rete i siti No-radar Sardegna sono una cinquantina, con anti-militaristi e ambientalisti scatenati nelle chat-rivolte, mentre a protestare, sulla terra, da giorni ci sono padri di famiglia, impiegati, consiglieri regionali della maggioranza e dell'opposizione, e parlamentari, che continuano a chiedersi, come minimo, «perché i radar li vogliono mettere proprio lì?». Certo è che sulla dislocazione degli impianti, «Almaviva» si tira fuori di slancio: «A decidere i siti - dicono - è stata la guardia di finanza, non noi. È stato così in Sardegna, e anche negli altri diciassette punti della futura rete nazionale».
Sicilia, Salento e spiagge dell'Adriatico, la compagnia non manca in questa cartina di un'Italia, che fra pochi mesi sarà la piattaforma del sistema integrato «C4i». Che non è parente del droide «C-3PO», lo svampito di Guerre stellari, ma - ma com'è scritto nel capitolato pubblicato sulla Gazzetta europea - è «un sistema di comando e controllo a distanza, operativo 24 ore su 24, utilizzabile in qualunque condizione meteo, attraverso radar di profondità attrezzati per la sorveglianza costiera». Il progetto è stato finanziato dall'Europa e poi assegnato ad «Almaviva Italia», senza bisogno di gara.
Il primo lotto era intorno ai cinque milioni, gli altri importi sono stati secretati, e la famiglia Tripi si è presa tutto, con questa motivazione: «È l'unica azienda, in Italia, a possedere le prescrizioni tecniche e i diritti necessari per la realizzazione», scrive l'ufficio approvvigionamenti. Punto e basta, non c'è abuso, la legge permette l'assegnazione diretta in esclusiva. Nessuno ha contestato il vincitore, e stessa fortuna ha avuto la mappatura, mai uno straccio di ricorso. Così «C4i» è diventato un progetto blindato ed è dal 2009 che il gruppo Tripi e i comandanti in divisa marciano assieme, compatti, da una conferenza di servizi all'altra.
Il 15 febbraio, ad esempio, erano al tavolo organizzato dal Provveditorato Opere pubbliche interregionale Lazio-Abruzzo-Sardegna, per i lavori a Capo Sperone. Com'è andata? Scontato, il radar è stato autorizzato e le ruspe, insieme a tutto il resto, si sono mosse subito, anche se sulla strada per l'ex faro hanno trovato l'ingresso sbarrato dal sindaco (è accaduto lo stesso all'Argentiera, a Fluminimaggiore e Tresnuraghes) e da interi comuni, pronti al presidio, a digiunare e a incassare - se necessario - un bel po' di botte dai carabinieri, che prima o poi arriveranno in assetto anti-sommossa. Loro, gli indigeni, continuano a ribellarsi in mezzo alla polvere, senza sapere che altrove, negli uffici tecnici, per i radar è filato sempre tutto liscio.
Ma è possibile che non ci sia mai stato un parere negativo? Secondo il protocollo 01361 del ministero delle Infrastrutture, è accaduto più volte. In ordine di apparizione, nella pratica Capo Sperone: prefettura di Cagliari, giudizio favorevole, Parco Geomineraio della Sardegna, non esistono vincoli ostativi, Servizio sostenibilità ambientale dell'assessorato all'ambiente, «se il progetto è eseguito nel rispetto delle prescrizioni su habitat, specie animali e vegetali di interesse comunitario, nulla osta». E ancora: il Servizio pianificazione urbanistica dell'assessorato agli enti locali, che vota sì «all'opera militare di interesse nazionale, nonostante (è l'ammissione) ricada in una zona dall'elevato pregio ambientale ma (per fortuna) non prevede nuovi volumi e dunque il cantiere può essere aperto», anche se nella fretta si è dimenticata il parere sul traliccio, alto venti-trenta metri.
Poi c'è il salvacondotto concesso dalla Soprintendenza archeologica, «nel sito in oggetto non è stata accertata presenza di reperti», stringato, basta e avanza. Un altro parere, appena più dubbioso, è quello dei Beni ambientali: teme per i ruderi dell'attiguo ex faro militare, ma gli promettono che non ci sarà impatto e vota sì. Sono tutti okey seriali, con in successione quello dovuto del Comando militarea, «l'area demaniale è concessa», e uno appena più laico del geometra comunale. È lui a invocare l'esclusione di opere che possano danneggiare l'ambiente, e subito dopo fa verbalizzare: «Soprattutto niente pali per la rete elettrica, solo cavi interrati». Sarà accontentato.
D'accordo l'ambiente, ma all'uomo e agli effetti possibili delle radiazioni, qualcuno ci ha pensato? Nessuno o quasi, quel 15 febbraio, è sconcertante ma vero. Perché supposto che i radar abbiano davvero appena 50 watt di potenza, meno del micro-onde casalingo, così dichiara Almaviva, e anche la loro frequenza non sia quella denunciata dagli ambientalisti, 300 GHz, l'auspicata Arpas, l'agenzia per la salute, sarà coinvolta, si legge, soltanto «entro i novanta giorni dall'attivazione delle apparecchiature, periodo nel quale il gestore degli impianti dovrà formulare, all'ufficio, la dichiarazione di avvio, come previsto dalle direttive regionali in materia di inquinamento elettromagnetico».
Dunque, è dopo la costruzione del basamento in cemento, l'ancoraggio del traliccio, l'accensione della parabola rotante, e la messa in moto, che qualcuno verificherà gli eventuali effetti collaterali: è o no singolare? Lo è, anche se Almaviva fa sapere che i suoi macchinari sono puliti e liberi da ogni sospetto. Altre Arpa li hanno testati e il verdetto è stato positivo, per poi essere confermato dall'università di Cagliari, sostengono sempre dal gruppo Tripi.
Eppure su una relazione tecnica, pescata su internet, proprio sull'«El/M-2226» appaiono un'infinità di misteriosi se non preoccupanti omissis. Forse è per questo che, a Siracusa, il «pugno nell'occhio» volevano toglierselo di mezzo. Ma il parco di Plemmirio, adesso liberato, è in Sicilia, dove quando vanno su di giri minacciano e ottengono, mentre Capo Sperone, Capo Pecora, l'Argentiera, Ischia Ruggia sono altrove. In Sardegna, 35 mila ettari di servitù militari, a terra, 20 mila chilometri quadrati, in mare. Mancavano soltanto i radar di pronfondità, eccoli, sono pronti. A meno che stavolta a vincere non siano gli scudi-umani della rivolta.
22 maggio 2011 da laNuova
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