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giovedì 9 agosto 2012

E' USCITO IL NUOVO NUMERO DI SA TIRIA, ORMAI IL SETTIMO. PER CHI VOLESSE COMMENTARE O PARTECIPARE LA MAIL A CUI SCRIVERE E'
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lunedì 25 giugno 2012


Italia, l’isola dei droni


La Sicilia sarà l’isola dei droni. In occasione del vertice tenutosi il 21 e 22 maggio a Chicago, città natale del presidente Obama, la NATO ha perfezionato l’accordo per insediare nella base aeronavale di Sigonella il centro di comando e controllo operativo dell’AGS (Alliance Ground Surveillance), il nuovo sistema di sorveglianza terrestre alleato. L’AGS sarà disponibile a partire del 2015 e comporterà l’arrivo in Sicilia di cinque velivoli senza pilota UAV RQ-4 Global Hawk (Falco globale) di ultima generazione (Block 40). Entro il 2017, invece, giungeranno tra i 600 e gli 800 militari, “analisti, piloti, assistenti e, soprattutto, formatori”, come indicato all’agenzia Ansa da un ufficiale dell’Alleanza a Bruxelles, “perché Sigonella diventerà una base molto importante di training per tutta la NATO”.

Il Global Hawk è il più grande e sofisticato velivolo senza pilota mai progettato. Con una lunghezza di 13 metri e mezzo e un’apertura alare di oltre 35, il drone è in grado di volare a circa 600 chilometri all’ora, a quote di oltre 20.000 metri e in qualsiasi condizione meteorologica. Il suo potente apparato radar è capace di localizzare e tracciare piccoli oggetti in movimento o stazionari con estrema precisione. Un “grande fratello” con cui l’Alleanza Atlantica si prepara ad intervenire militarmente in uno scacchiere strategico che comprende l’Oceano Atlantico, l’Europa, l’Africa e il Medio oriente. “L’AGS è essenziale per accrescere la capacità di pronto intervento in supporto delle forze NATO per tutta le loro possibili future operazioni”, ha spiegato il vicesegretario generale per gli investimenti alla difesa, Peter C. W. Flory.

Il centro di controllo AGS gestirà le informazioni ottenute in cooperazione con i Global Hawk della US Air Force di penultima generazione (Block 30), operativi da due anni a Sigonella e con il BAMS (Broad Maritime Area Surveillance), il sistema di sorveglianza e intelligence in via di acquisizione dalla US Navy, incentrato su una versione modificata del falco globale che trasporterà un carico addizionale di sensori di 450 Kg. Al comando AGS di Sigonella faranno riferimento pure le numerose basi per i velivoli senza pilota d’attacco del tipo Predator e Reaper che le forze armate USA gestiscono in Iraq, Afghanistan, Yemen, Gibuti e nelle isole Seychelles. Il nuovo sistema di sorveglianza terrestre opererà inoltre in coordinamento con le stazioni UAV della CIA di al-Dhafra (Emirati Arabi Uniti) e al-Udeid (Qatar).

L’AGS sarà finanziato solo da tredici paesi sui 28 aderenti all’Alleanza Atlantica: Italia, Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Stati Uniti. Al summit di Chicago sono stati firmati i primi contratti per un valore di 1,7 miliardi di dollari con il gigante dell’industria aerospaziale americana Northrop Grumman Corp. che dovrà fornire i cinque aerei-drone, i sensori e le telecamere di bordo e le stazioni radar terrestri. Secondo fonti ufficiali NATO, altri 2 miliardi di dollari verranno spesi nei prossimi 20 anni per rendere pienamente operativo il sistema e garantire la manutenzione e l’aggiornamento dei Global Hawk. Solo una minima percentuale degli ingenti finanziamenti alleati andrà alle società europee partner di Northrop Grumman, comeCassidian (sussidiaria missilistica di Eads), l’italiana Selex Galileo (gruppo Finmeccanica) e Koongsberg.

Proprio il massiccio trasferimento di risorse finanziarie pubbliche europee a favore della holding statunitense ha spinto buona parte dei paesi NATO a disertare il programma AGS. La iniqua ridistribuzione dei profitti tra gli alleati ha infastidito pure uno dei maggiori sostenitori della scelta di Sigonella come “capitale mondiale” dei droni, l’ex capo di Stato maggiore della difesa, generale Vincenzo Camporini. A conclusione del vertice NATO, il militare ha commentato chel’Alliance Ground Surveillance e gli altri programmi della cosiddetta Smart Defence (la strategia di difesa intelligentevarata a Chicago) “sono stati voluti dagli Stati Uniti e hanno comportato acquisizioni off the shelf di materiale di produzione americana”. “Così si chiederà agli europei di mettere una parte più o meno cospicua di finanziamenti, ad esclusivo favore dell’industria della difesa USA”, ha concluso Camporini.

Nessun commento invece dalle forze politiche rappresentate in sede parlamentare. Solo la Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella e la Federazione della Sinistra hanno duramente criticato la scelta di rendere operativo l’AGS in Sicilia. “Se si considera che contemporaneamente va avanti l’altrettanto pericoloso progetto del MUOS in territorio di Niscemi appare chiaro come sempre di più l’isola stia diventando una piattaforma armata nel centro del Mediterraneo”, scrive l’ex deputato Prc, Luca Cangemi. “I prezzi che le popolazioni devono pagare a questa dilagante militarizzazione sono gravissimi in termini di devastazione dell’ambiente e di negazione di sviluppo. In particolare va ribadita l’assoluta incompatibilità delle attività militari previste a Sigonella con lo sviluppo dello scalo catanese di Fontanarossa, già oggi pesantemente penalizzato dalle interferenze delle forze armate statunitensi”. Per Cangemi, l’AGS comporterà un pericolo per il traffico aereo civile con effetti economici “disastrosi” in tutta la Sicilia orientale. Ma a Roma e Palermo la cosa sembra assai poco importare.


Tecnologie per la contro-insurrezione: micro-UAV per le operazioni militari e di polizia in ambiente urbano.

Come previsto dalle dottrine contro-insurrezionali e per le operazioni militari in ambito urbano elaborate dagli analisti dell’Alleanza Atlantica, i sistemi UAV (Unmanned Aerial Vehicle) di dimensioni ridotte per poter essere trasportati all’interno di uno zaino, si stanno diffondendo a velocità esponenziale tra le forze militari e le forze di polizia di molti stati.
Il primo sistema di questo tipo ad essere largamente impiegato è l’RQ-16A T-Hawk  sviluppato da Honeywell in collaborazione con la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency).

Questo piccolo velivolo-spia è già stato impiegato dalla società TEPCO (Tokyo Electric Power Corporation) per osservare dall’alto la centrale nucleare di Fukushima, ma era già stato largamente utilizzato in Iraq e in Afghanistan, soprattutto nell’ambito anti-IED (Improvised Explosive Device). L’RQ-16A pesa 8 kg e misura 53,68 cm di larghezza e 58,41 cm di altezza ed è quindi facilmente trasportabile in uno zaino. Può volare in presenza di vento fino a 27 km /h ed ha un’autonomia di 45-50 minuti, con un raggio d’azione di 8-10 km. Può essere impiegato per osservare l’interno di un palazzo attraverso una finestra, ma non può entrarvi non essendo dotato di un sistema anti-collisione ed è molto rumoroso a causa del suo motore a scoppio e può essere sentito in volo fino ad una distanza di 2 km. Questo sistema ha riscosso l’interesse delle forze di polizia dello stato della Florida, visto che la municipalità di Miami ne ha già acquistati un paio per i propri reparti anti-sommossa.
Piuttosto silenzioso e adatto alle operazioni in ambiente urbano è lo Scout, sviluppato dalla canadese Aeryon Labs.

Questo micro-UAV pesa solo 1,3 kg ed è spinto da 4 motori elettrici che lo rendono estremamente silenzioso, operando soprattutto di notte grazie all’impiego di una camera termica stabilizzata su due assi. Il sistema è stato concepito per essere impiegato anche da personale inesperto dopo una brevissima sessione di addestramento. Il suo debutto sul campo è avvenuto con le forze ribelli in Libia, dove è stato impiegato per missioni di ricognizione notturne. Particolarmente pericoloso per la sua silenziosità, per le sue dimensioni ridotte e per la capacità di volare di notte, lo Scout misura circa 80 cm, dispone di un’autonomia di circa 20 minuti e può operare fino a 3 km di distanza anche con venti di 50 km/h.
La capacità di spiare e penetrare negli ambienti chiusi è dell’ AR100B della tedesca AirRobot, già sperimentato in Afghanistan in contesti urbani.
Per evitare il rischio di danni da collisione in ambienti angusti, i rotori sono protetti da una sorta di paraurti che porta il diametro dell’UAV a 1 metro. La batteria ricaricabile garantisce un’autonomia di quasi 30 minuti e il raggio d’azione del velivolo è limitato a 1,5 km.
Gli UAV di Finmeccanica per le forze di polizia

Sviluppato da Selex Galileo, il Drako è un sistema piccolissimo di 70 cm di diametro e dal peso inferiore ai 2 kg. Opera fino a 5 km di distanza da chi lo pilota ed ha un’autonomia di 30 minuti con una velocità massima di 45 km/h. L’azienda lo propone con un sensore elettro-ottico adatto per il giorno e la notte ed è dotato di un sistema automatico anti-collisione che gli impedisce di avvicinarsi a meno di due metri da un ostacolo, il che lo rende adatto a poter spiare anche volando all’interno di edifici.
Più piccolo e compatto è lo Spyball (il nome è indicativo dei compiti di questo micro-UAV), sviluppato alla fine del 2011 dall’UTRI s.p.a. (controllata Finmeccanica). Lo Spyball ha un peso di 1,7 kg e misura solo 35 cm di diametro e 40 cm di altezza, pesa 8 kg, può tranquillamente essere trasportato all’interno di uno zaino ed è adatto a svolgere la sua missione di controllo sia di giorno che di notte. È molto silenzioso perché propulso da un motore elettrico e questa caratteristica, sommata alle ridotte dimensioni del velivolo, lo rendono pressoché invisibile. Le sue dimensioni lo rendono praticamente perfetto per l’impiego in ambiente urbano e per il monitoraggio dei cortei. Selex Galileo lo dota anche di un sistema di guida adatto al volo in ambienti chiusi e all’interno di edifici. Questo UAV si sposta ad una velocità massima di circa 22 km/h con un’autonomia di 30 minuti e può operare fino a una distanza di 12 km da colui che lo guida.
Anche l’ASIO (sempre sviluppato nell’ultimo anno da UTRI s.p.a.) ha prestazioni e caratteristiche simili allo Spyball, ma è pensato soprattutto per missioni in ambienti urbani denominate “Hover and stare” (letteralmente: “appollaiarsi e guardare fisso”). In questo caso il micro-UAV viene fatto posare in un punto sopraelevato (sopra ad un tetto, per esempio) in modo che possa continuare ad osservare la zona d’interesse per un periodo di tempo molto più lungo rispetto all’autonomia di volo, fino a 4 ore.
Questi tre sistemi di Finmeccanica sono da poco disponibili sul mercato, e non è peregrino pensare ad un loro uso prossimo per conto delle forze di polizia dello stato italiano.

giovedì 31 maggio 2012

NUOVO NUMERO DI BIRDI KE SU PORRU - RIVISTA ANTIAUTORITARIA




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EuroGendFor. L’esercito privato della UE è in procinto di partire per la Grecia.

Non tutti conoscono questa unità segreto che risponde al nome di «EuroGendFor». Il quartier generale di questa speciale task force di 3000 uomini si trova a Vicenza, Italia. L’ex ministro della Difesa francese Alliot-Marie ha iniziato la formazione di questa truppa, dopo le sempre più comuni forme di battaglie di strada e saccheggi provocati da giovani in Francia. L’«EuroGendFor» è allo stesso tempo, polizia, polizia giudiziaria, esercito e servizi segreti. Le competenze di questa unità sono praticamente illimitate. Essa deve, in stretta collaborazione con i militari europei, garantire “la sicurezza nei territori di crisi europei”. Il suo compito è principalmente quello di sopprimere le rivolte. Sempre di più Stati membri dell’Unione Europea aderiscono al «EuroGendFor».
I governi europei sanno esattamente cosa li attende. Per evitare di dover usare i loro propri eserciti contro i cittadini del paese, le truppe paramilitari della “Forza di Gendarmeria Europea” è stata fondata in segreto. In teoria, si può ricorrere alla FEG ovunque vi sia una crisi. E’ ben stabilito nel Trattato di Velsen che regola gli interventi dell’EuroGendFor. Il suo motto motto è il seguente: “Lex paciferat” - che può essere tradotto come: “La legge porterà la pace”. Si sottolinea “il principio della stretta relazione tra l’imposizione dei principi giuridici e la restaurazione di un ambiente sicuro e protetto”. Un “consiglio di guerra” sotto forma di un comitato interministeriale composto dai ministri della Difesa e la Sicurezza dei paesi membri dell’Unione europea partecipanti, decide la strategia di intervento. La truppa può essere attivata su richiesta o dopo decisione dell’UE
All’articolo 4 del Trattato Costitutivo sui compiti e gli impegni si legge: “È possibile ricorrere alla FEG per proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine.” I soldati di questa unita’ paramilitare dell’Unione europea devono rispettare la legge vigente dello Stato in cui operano e dove vengono distribuiti, ma tutti gli edifici e tutte i terreni che vengono presi dalle truppe divengono estraterritoriali e non sono più accessibili dalle stesse autorità dello Stato in cui operano. Il mostro dell’Unione europea abroga inoltre il diritto nazionale anche in caso di antisommossa. 
L’«EuroGendFor» è una truppa di polizia paramilitare e servizi segreti che possono rapidamente operare. Unisce tutti i poteri e mezzi militari, di polizia e servizi segreti che possono essere utilizzati come consultani dalle forze di polizia nazionali e dall’esercito, dopo essere stato commissionato da una unità di crisi interministeriale in ogni sede per la lotta contro le rivolte, ecc. Il ministero federale della Difesa ha elogiato l’EuroGendFor sui propri siti web, scrivendo: “Polizia e esercito. Una gendarmeria europea promette la soluzione”.
L’EuroGendFor è ancora quasi completamente sconosciuto e nell’ombra. Ma non rimarrà a lungo tale. Più le persone vengono spinte alla povertà, più queste truppe ricche di poteri illimitati dovranno “regolare” la situazione. I capi di stato europei si renderanno conto con gratitudine che non saranno obbligati ad usare le proprie forze di polizia e dell’esercito contro i propri cittadini.

Il trattato di Velsen
18 ottobre 2007
TRATTATO Tra il Regno di Spagna, la Repubblica Francese, la Repubblica Italiana, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica Portoghese, per l’istituzione della Forza di Gendarmeria Europea EUROGENDFOR
Leggere il trattato qui:
http://www.scribd.com/doc/78323752/Trattato-di-Velsen-2007

In Kosovo c’è sempre più NATO

di Antonio Mazzeo
 Dopo tredici anni di amministrazione militare del Kosovo e la spesa di ingenti risorse finanziarie, la NATO riconosce di non essere più in grado, con le forze attuali, di evitare la degenerazione del conflitto tra la maggioranza albanese e la minoranza serba. Così, alla vigilia delle prossime elezioni politiche in Serbia, il comando generale dell’Alleanza atlantica annuncia che dal primo maggio verrà rafforzato il dispositivo di uomini e mezzi che presidiano strade e villaggi del Kosovo (KFOR – Kosovo FORce). Secondo Bruxelles, saranno quasi 700 gli uomini dei corpi di pronto intervento di Germania e Austria che raggiungeranno la mini-repubblica balcanica dichiaratasi indipendente dalla Serbia nel 2008.
“Nel valutare la situazione odierna, la NATO e l’Unione Europea si sono rese conto che le forze KFOR sul campo potrebbero non essere sufficienti per rispondere in modo appropriato a eventuali incidenti e scontri in Kosovo, legati alle elezioni in Serbia”, ha ammesso il portavoce del Comando centrale militare tedesco, Hauke Bunks.
Il dispositivo KFOR prevede dal 1° marzo 2011 due Multinational Battle Groups, di cui uno a conduzione italiana. Attualmente, la missione vede schierati 31 paesi con 5.500 uomini. La Germania è il paese impegnato con il maggior numero di militari, 1.300, più altri 550 che giungeranno nei Balcani tra meno di una settimana. Seguono poi l’Italia con meno di 1.000 uomini e gli Stati Uniti con 800. Alla forza d’intervento NATO si aggiungono poi i 3.200 uomini della missione EULEX dell’Unione europea (European Union Rule of Law Mission in Kosovo), con il compito di “monitorare e guidare le nascenti istituzioni del Kosovo nei campi della Polizia, della Giustizia e della Dogana”. La missione europea ha preso il via il 4 febbraio 2008 (tredici giorni prima, cioè, della dichiarazione unilaterale d’indipendenza) ed opera, sostanzialmente, sotto il comando e la direzione della NATO. Inizialmente a capo di EULEX venne chiamato il generale francese Yves de Kermabon, dal 2004 al 2005 Comandante dell’operazione KFOR. L’odierno responsabile EULEX è il connazionale gen. Xavier Bout de Marnhac, capo KFOR nel biennio 2007-2008.
Nel caso di un inasprimento del conflitto tra le comunità albanesi e serbe, l’Alleanza Atlantica potrebbe chiamare all’Italia un maggiore impegno in Kosovo per i prossimi 5-6 mesi. Le forze armate italiane sono di base a Pec-Peja, nella parte occidentale della repubblica. Personale dell’Aeronautica militare della cosiddetta Task Force “Air” opera invece nell’aeroporto AMIKo di Djakovica in supporto e assistenza ai velivoli dei partner NATO. Nello scalo di Djakovica è presente anche il Gruppo elicotteri dell’Aviazione dell’Esercito denominato Task Force “Ercole”.
Gli altri centri operativi delle forze KFOR sorgono a Lipljan, Novo Selo, Prizren e Urosevac. Sotto il comando e la direzione dell’US Army Corps of Engineers, sono stati completati di recente i lavori di costruzione della più grande e moderna installazione militare NATO in tutta l’area balcanica: si tratta di “Camp Bondsteel”, nella regione meridionale del Kosovo, quasi alla frontiera con la Macedonia. La struttura si estende in un’area di 955 acri (poco meno 4.900.000 metri quadri) ed è in grado di ospitare sino a 5.000 uomini tra militari, civili e contractors. Nuova sede del comando generale di KFOR, “Camp Bondsteel” è una vera e propria cittadella autosufficiente: ospita numerosi magazzini e depositi di armi e munizioni, caserme e aree residenziali per i familiari dei militari, scuole, centri sportivi e commerciali e un grande ed attrezzato ospedale militare.
La nuova base kosovara avrà il compito di proiettare le forze terrestri e aeree USA e NATO in un’area compresa tra l’Adriatico e il Caucaso. Come evidenziato da alcuni analisti, la sua localizzazione consente di porre sotto controllo due corridoi terrestri ed energetici di importanza strategica per l’Occidente: quello progettato dalle imprese tedesche (e lautamente finanziato dall’Agenzia europea per la ricostruzione) che congiunge, via Belgrado, il porto rumeno di Costanza ad Amburgo, e quello “statunitense” (con fondi USAID) sulla rotta Bulgaria-Macedonia-Albania.
Le azioni di guerra alleate in Kosovo si svilupparono nel corso della primavera 1999. Secondo il Comando supremo dell’Alleanza, in 78 giorni furono lanciate più di 38.000 sortite aeree; 900 i velivoli NATO impegnati, 600 dei quali di pertinenza delle forze armate USA. Buona parte degli strikes partirono da basi aeree italiane (Aviano, Gioia del Colle e Sigonella in primis) e da unità navali dislocate nell’Adriatico. A dirigere le operazioni, il Combined Allied Operations Center installato ad hoc all’interno dell’aeroporto “Dal Molin” di Vicenza, oggi al centro dei lavori di trasformazione nella base-comando della 173^ brigata aviotrasportata dell’esercito USA e delle forze terrestri di USAFRICOM destinate al continente africano.
Alla guerra parteciparono per la prima volta i cacciabombardieri stealth B-2, fatti decollare dalla base aerea di Whiteman (Missouri) e riforniti in volo da aerei cisterna USA e NATO provenienti da basi italiane. Battesimo di fuoco anche per i giganteschi aerei cargo C-17 Globemasters , che trasportarono in Albania e Macedonia gli oltre 5.000 militari e gli elicotteri d’assalto poi utilizzati per l’invasione e l’occupazione del Kosovo. Ad oggi è ancora ignoto il numero dei civili che furono uccisi durante le operazioni aeree alleate in Serbia e Kosovo. Secondo l’organizzazione non governativa statunitense Human Rights Watch le vittime dei caccia NATO sarebbero state tra 489 e 528. Anonimi “effetti collaterali” di un conflitto-pantano insensato, la cui risoluzione manu militari appare sempre più lontana.

domenica 15 aprile 2012

L'ITER PER INSTALLARE TRE RADAR VA AVANTI SENZA OSTACOLI
[LA NUOVA SARDEGNA, 14 APRILE 2012]
 
OLBIA. Lo Stato è pronto a calpestare la volontà della Gallura. Il Ministero delle Infrastrutture porta avanti l'iter per installare tre radar, nell'Isola Bocca, nel faro di Capo Testa a Santa Teresa, sull'Isola di Razzoli nell'arcipelago della Maddalena.
La posizione contraria dei comuni non ha avuto alcun effetto sulle scelte romane. Dopo le rassicurazioni di qualche mese fa gli enti locali erano convinti di aver allontanato il pericolo di una nuova servitù. Invece in questi giorni i sindaci di Santa Teresa, Olbia e La Maddalena hanno avuto conferma che la battaglia è tutta da combattere.
Il Ministero ha presentato al SAVI, l'organismo regionale che valuta la sostenibilità dei progetti, la valtazione di incidenza ambientale dei tre radar. Il parere del SAVI è propedeutico alla conferenza di servizi che poi rilascia l'autorizzazione. È evidente che lo Stato non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro. Uno schiaffo a comuni, in particolare a quello di Santa Teresa che qualche mese fa aveva incontrato i vertici del Comando Generale delle Capitanerie di Porto. «In quella occasione eravamo stati rassicurati - dice il sindaco Stefano Pisciottu -. Ci era stato detto che se il progetto del radar non fosse stato condiviso non era intenzione del Ministero andare contro la volontà della popolazione locale. Mi sembra invece che si stia andando nella direzione contraria».
La giunta Pisciottu studia le contromosse. Ha già affidato l'incarico di preparare una valutazione di incidenza ambientale da contrapporre a quella del Ministero. E se il progetto per installare un'antenna radar di tipo mercantile sul faro ci Capo Testa dovesse passare in conferenza di servizi farà ricorso al TAR. «Lo Stato calpesta la volontà della popolazione - aggiunge -. Solo un mese fa il consiglio comunale, dopo aver incontrato la popolazione, ha votato all'unanimità un ordine del giorno in cui dice in modo chiaro che Santa Teresa non vuole il radar a Capo Testa. Una copia della delibera è stata inviata in Regione e anche al Ministero. Non resteremo a guardare».
Pisciottu ribadisce i motivi del no al radar per sorevegliare le Bocche di Bonifacio. «Il faro di Capo Testa è il notro piccolo Coloseo - sottolinea il primo cittadino -. È un monumento che rappresenta la nostra comunità, è una parte della nostra storia e si trova in un sito di interesse comunitario. Per non parlare dei danni all'immagine turistica che la sua installazione provocherebbe. La percezione del percolo delle emissioni elettromagnetiche meterebbe in fuga i vacanzieri».