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lunedì 31 ottobre 2011

Iveco-Oto Melara presenta un nuovo mezzo


È stato presentato il nuovo semovente Iveco-Oto Melara “Draco”, concepito per le operazione di “peace- keeping” e di contro-insurrezione.
Il “Draco” è un veicolo blindato ruotato 8 per 8, presentato dalla Oto Melara come la soluzione più adatta alle esigenze militari per le attuali operazioni belliche in contesti urbani e di “peace-keeping”, anche in virtù del ridotto impatto “psicologico” che ha sulla popolazione (risultando molto meno “aggressivo” come linea rispetto agli altri mezzi cingolati di analoghe dimensioni). Il veicolo, dotato di armamento pesante, risulta complementare al tristemente noto “Lince”.
Il “Draco” risponde alle esigenze del ministero della Guerra nell’ambito della difesa d’area di installazioni strategiche o di interesse nazionale (stabilimenti industriali, cantieri, punti sensibili, aeroporti), protezione di basi terrestri o navali, salvaguardia dei check-point e difesa costiera.

sabato 29 ottobre 2011

Marsala in lotta contro il nuovo radar Finmeccanica

di Antonio Mazzeo

Il centro radar della 135^ Squadriglia dell’Aeronautica militare di contrada Perino a Marsala, è noto per uno dei depistaggi più gravi dell’infinita vicenda della strage di Ustica, quando in una vera e propria battaglia aerea sui cieli del Tirreno fu abbattuto un Dc-9 Itavia con i suoi 81 passeggeri. La notte tra il 27 e il 28 giugno 1980, la pagina del “registro operazioni” della stazione di telerilevamento con i dati di volo del Dc-9 e dei caccia militari killer, fu tagliata, distrutta e poi riscritta per far sparire ogni traccia che potesse ricostruire nei particolari l’inconfessabile scenario della strage. Oggi il centro radar di Marsala è al centro di una campagna di mobilitazione. Con cortei, incontri e petizioni popolari, centinaia di cittadini hanno denunciato l’alto indice di mortalità per tumori nella zona (nei pressi della base vivono oltre 10.000 abitanti); il Consiglio provinciale di Trapani, all’unanimità, ha invece chiesto alle autorità sanitarie di analizzare l’incidenza delle pericolosissime onde elettromagnetiche emesse dalla stazione militare.

A scatenare la protesta l’annuncio del ministero della Difesa che il vecchio radar a lunga portata AN/FPS-117, prodotto dalla Lockheed-Martin (il colosso del MUOS, il nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari Usa con terminal terrestre a Niscemi, Caltanissetta) sarà presto sostituito da un radar ancora più potente dell’italiana Selex Sistemi Integrati (gruppo Finmeccanica).

“A Marsala è sorto un comitato spontaneo di cittadini per dire No al radar e sensibilizzare tutti al rischio cui si andrebbe incontro”, dichiara il consigliere provinciale di SEL, Ignazio Passalacqua. “Si tratta di un’iniziativa di grande senso civico. I militari ci hanno spiegato che il nuovo radar avrà un impatto meno invasivo dei precedenti grazie alle nuove tecnologie. Ci chiediamo allora a cosa sono stati esposti i civili abitanti in quelle contrade nei decenni scorsi. È l’ora pertanto che si predisponga un rilevamento dei valori di queste onde attraverso uno studio che non abbia natura militare ma civile per fare chiarezza una volta per tutte sui casi, molto frequenti e preoccupanti, di tumori e leucemie che da anni colpiscono le famiglie di quelle zone ”.  

In previsione del nuovo sistema radar, il 21 dicembre 2010 il Comando della 3^ Regione Aerea di Bari ha rinnovato per altri cinque anni le servitù militari in un’ampia fascia di territorio prossima al Centro dell’AMI, onde “evitare che la realizzazione di talune opere possa compromettere la funzionalità e la sicurezza dell’installazione militare ubicata in località Timpone Guddino”. Il decreto del Comando di Bari prevede una spesa annua di 65.153 euro per il pagamento degli indennizzi ai proprietari e di 32.576,5 euro al Comune di Marsala. Pochi spiccioli per monetizzare l’alto rischio elettromagnetico sulla salute della popolazione ma che pesa sul bilancio statale complessivamente per 488.647,5 euro. E in tempi di tagli draconiani al welfare non è poco.

La mappa catastale allegata al decreto di proroga evidenzia l’enorme estensione della servitù. Una zona rossa, della larghezza di 600 metri di raggio dal centro della base, impone il divieto alla realizzazione di “ostacoli d’alcun genere, compresi manufatti, vegetazione arbustiva, antenne e strutture metalliche, condotte sopraelevate elettriche e telegrafoniche, depositi di carburante, esplosivo o altre materie infiammabili e strade ferrate…”. Inoltre non sono ammessi “macchinari o impianti che possano irradiare nello spazio disturbi elettromagnetici, né trasmettitori radio di qualsiasi tipo o potenza”. Ancora più vasta la cosiddetta zona verde, all’esterno del perimetro “rosso”, distante in alcuni punti sino a 1.800-2.000 dal Centro radar, dove è proibita la localizzazione di “ostacoli di qualsiasi genere con altezza superiore ai 153 metri s.l.m., condotte elettriche sopraelevate o trasmettitori con potenza superiore ai 200 watt”.      

Il sistema che verrà installato a Marsala è il Fixed Air Defence Radar (FADR) RAT31-DL, acquistato dalla Difesa per potenziare la rete operativa dell’Aeronautica militare italiana ed integrarla ancora di più nella catena di comando, controllo, comunicazione ed intelligence della Nato. Il contratto sottoscritto con Selex Sistemi Integrati prevede la fornitura entro il 2014 di dodici impianti radar per altrettanti siti AMI, pèiù due sistemi configurati nella versione mobile (DADR - Deployable Air Defence Radar). Importo del contratto 260 milioni di euro. Una manna per l’azienda elettronica di Finmeccanica che ha già venduto i FADR a nove paesi nel mondo, sette dei quali sono membri Nato (Austria, Danimarca, Germania, Grecia, Malesia, Repubblica ceca, Turchia e Ungheria).

“Il RAT31-DL è stato sviluppato per rispondere ai futuri bisogni della difesa, dove la superiorità delle informazioni e dei comandi giocherà un ruolo sempre maggiore”, affermano i manager di Selex-Finmeccanica. “Il sistema ha eccellenti capacità di scoprire e tracciare i segnali radio a bassa frequenza di aerei e missili, può supportare diverse funzioni come la difesa da missili anti-radiazione e da contromisure elettroniche. In Italia, il FADR consentirà di controllare anche la presenza di missili balistici, comunicherà con gli altri punti di controllo nazionali e della Nato, riducendo la necessità di personale e quindi dei costi di gestione”.

Secondo il generale Mario Renzo Ottone, a capo del Comando Operazioni Aeree nazionali e Nato di Poggio Renatico (Ferrara), il nuovo sistema radar costituisce la “struttura portante del programma con cui l’Aeronautica ha avviato la sostituzione dei propri sistemi di sorveglianza aerea per rendere disponibili le frequenze necessarie all’introduzione della nuova tecnologia Wi-Max (Worldwide Interoperability for Microwave Access) di accesso internet ad alta velocità in modalità wireless”.

Produttori e militari sono invece particolarmente restii a fornire informazioni sulle caratteristiche tecniche e di funzionamento del radar, rendendo difficilissima una valutazione oggettiva dell’impatto ambientale delle future emissioni. La brochure dell’azienda produttrice rivela solo che il Fixed Air Defence Radar opererà in banda D e avrà una portata sino a 470 km di distanza e 30 km in altezza, una potenza media irradiante di 2,5 kW  e una potenza dell’impulso irradiato di 84 kW. L’antenna opererà in una frequenza compresa tra 1,2 e 1,4 GHz (L-band), all’interno dello spettro delle cosiddette “microonde”. Qualche altro dato è fornito per l’antenna da un sito web specializzato della Repubblica ceca: 77 metri quadri d’area, 11x7 metri di dimensione e una velocità di 6-10 rpm. Quando ci sono in  mezzo gli affari e tanti soldi, la salute vale zero e la trasparenza è un inutile optional.

martedì 25 ottobre 2011

Marina militare ed ENI a difesa del petrolio libico


di Antonio Mazzeo

In guerra per gas e petrolio. Adesso che le forze aeree e navali della “coalizione dei volenterosi” allentano la morsa e le transnazionali dell’energia lanciano la loro campagna d’autunno per dividersi le immense risorse della Libia, i vincitori rivendicano pubblicamente le reali ragioni che hanno spinto  al conflitto contro Gheddafi. A Roma, il ministero della Difesa si sbarazza dell’ipocrita scudo “umanitario” glorificando il ruolo delle forze armate a protezione degli interessi dell’onnipotente ente nazionale per il controllo degli idrocarburi. In un comunicato, il ministero ha rivelato che dal 23 settembre scorso, la nave da sbarco “San Marco” e i corpi d’élite della Marina militare (il Comando incursori e subacquei e il Reggimento San Marco) “sono stati impegnati nella riattivazione dei siti petroliferi e gassiferi, in supporto all’ENI, nelle piattaforme Sabratha e Bouri al largo delle coste libiche”. Le installazioni alimentano il gasdotto Greenstream che, a una profondità di oltre 1.000 metri e con 520 Km di condutture sottomarine, permette di trasportare il gas sino alle coste di Gela, in Sicilia.
“L'operazione ha visto l’impiego degli elicotteri della Marina AB212 ed EH101, che hanno svolto operazioni di ricognizione e di supporto, con i tiratori scelti del GOI (Gruppo Operativo Incursori) e degli uomini dei teams EOD (Explosive Ordinance Disposal - Artificieri) del GOS (Gruppo Operativo Subacquei), impegnati nella ricerca e nell’eventuale disinnesco di ordigni convenzionali o improvvisati”, spiega il portavoce della Difesa. “Al termine dell’operazione, le strutture sono state riconsegnate all’ENI e nave “San Marco” è rimasta in zona per fornire supporto aereo per il trasporto dei tecnici incaricati al riavvio delle piattaforme che permetteranno, nel rispetto degli accordi stipulati con la Libia, l’approvvigionamento di gas per la nostra nazione”. Grazie all’intervento dei militari, da metà ottobre il gas è tornato a scorrere nei tubi del gasdotto, iniettando sino a 2-3 milioni di metri cubi al giorno. Gestito da Greenstream BV Libyan Branch, la joint venture per il trasporto di gas di ENI e NOC National Oil Corporation Libya (la compagnia nazionale petrolifera di Tripoli), Greenstream collega l’impianto di trattamento di Mellitah, nella parte ovest della costa, alla Sicilia. Prima del conflitto assicurava la copertura del 12% del fabbisogno italiano, per un valore, secondo l’ENI, tra i 2 e i 3 miliardi di dollari l’anno. Maggiori clienti del gas libico importato, le società Edison, Sorgenia e Gaz de France.
Grazie al regime di Gheddafi, l’ENI ha rafforzato il proprio ruolo di produttore di idrocarburi, affermandosi come il primo acquirente di petrolio (il 33,7%), seguito dalla francese Total (16,7%). Una leadership che i futuri assetti politico-militari libici potrebbero rimettere pericolosamente in discussione: ecco allora che Roma ha giocato d’anticipo affidando alle truppe d’élite della Marina la difesa militare degli impianti off-shore dell’ENI. L’eldorado libico fa gola a mezzo mondo: le riserve petrolifere sono stimate in 60 miliardi di barili, le maggiori dell’Africa e con i costi d’estrazione più bassi al mondo. Per non parlare delle riserve di gas naturale, stimate in circa 1.500 miliardi di metri cubi.
Meritano essere raccontati i giri di valzer in terra nordafricana dei general manager dell’ente petrolifero italiano. Nonostante un feeling lungo quarant’anni con il “dittatore” Gheddafi, in casa ENI si è compreso subito il prevedibile esito del conflitto. Così, dopo la “liberazione” di Bengasi, scortato dai reparti speciali delle forze armate e dagli 007 dell’Aise (l’ex Sismi), il 3 aprile scorso l’amministratore delegato Paolo Scaroni si è recato in Libia per incontrare i leader del Consiglio nazionale di transizione (Cnt). “Il viaggio di Scaroni è servito a riavviare la cooperazione con l’Italia nel settore energetico”, annunciava il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Da allora, gli appuntamenti tra i manager ENI e gli uomini del Cnt si sono svolti con frequenza settimanale. “In silenzio stiamo rafforzando la nostra posizione di partner privilegiato della Libia”, spiegava lo stesso Frattini in un’intervista al settimanale Panorama. “L’ENI punta a conservare il primo posto fra i produttori di idrocarburi. Scaroni ha potuto firmare accordi importanti con il Cnt grazie al coinvolgimento del sistema paese, il ministero della Difesa, le strutture dell’intelligence”.
Il 29 agosto, Scaroni raggiungeva ancora una volta Bengasi per sottoscrivere un memorandum con il neopresidente della National Oil Corporation, Nuri Ben Ruwin. L’accordo prevedeva la riapertura entro ottobre del gasdotto Libia-Sicilia, dei giacimenti di Waifa e dell’impianto di pompaggio gas di Metillah. Come riportato da un comunicato della società, “l’ENI si impegna a eseguire una prima fornitura di prodotti petroliferi raffinati, per contribuire ai bisogni essenziali e più urgenti della popolazione libica. ENI, che già fornisce a Cnt aiuti umanitari con l’invio di materiale medico, assicurerà inoltre l’assistenza tecnica necessaria per valutare lo stato di impianti e infrastrutture energetiche presenti nel Paese, nonché per definire il tipo e l’entità delle operazioni necessarie al riavvio in sicurezza delle attività”.
Due giorni più tardi era il ministro Frattini a recarsi in Libia per legittimare ufficialmente il Cnt quale “titolare dell’autorità di governo nel territorio da esso effettivamente controllato”. Nell’occasione Frattini autorizzava l’ENI a fornire carburante raffinato per 150 milioni di euro ai nuovi padroni di Bengasi, da pagare a fine conflitto con una fornitura di greggio di analogo valore. Il 12 settembre Scaroni volava a Tripoli per incontrare personalmente il consigliere per la sicurezza nazionale del governo provvisorio, Abdel Karim Bazama, e pianificare tempi e modalità di riavvio della produzione di petrolio e gas. “Si tratta della prima missione nella capitale libica di una società occidentale dall’inizio dell’insurrezione”, annunciava trionfalmente l’ufficio stampa ENI. Obiettivo principale è la ripresa delle esportazioni attraverso il gasdotto Greenstream. L’operazione è stata dichiarata di interesse nazionale dal governo italiano perché strumentale alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici nazionali. A sua volta il CNT ne ha sottolineato l’importanza strategica per il nuovo governo e il popolo libico in quanto importante testimonianza del graduale ritorno alla normalità”.
Ad accompagnare Scaroni, alcuni ingegneri e tecnici dell’ente petrolifero successivamente trasferitisi sulla piattaforma offshore di Sabrata e al giacimento petrolifero di Abu Attifeel, 300 Km a sud di Bengasi, gestito dalla Società Mellitah Oil & Gas, altra joint venture ENI-Noc. Dopo la riattivazione dei primi pozzi, l’ENI spera di tornare a produrre gas a pieno regime prima che inizi l’inverno (19-20 milioni di metri cubi al giorno). Il petrolio richiederà tempi più lunghi, forse anche un anno. Se il nuovo governo libico rispetterà davvero gli impegni pre-conflitto, l’ENI possiederà fino al 2042 per il petrolio e al 2047 per il gas, tredici titoli minerari in sei aree contrattuali onshore e offshore, per una superficie complessiva di 36.375 Km quadrati. Ciò consentirà l’estrazione sino a 280.000 barili di greggio al giorno (il 13,4% della produzione mondiale ENI) e 24 milioni di metri cubi di gas.
“Gheddafi? Di certo nessuno lo rimpiangerà”, ha dichiarato Paolo Scaroni al quotidiano la Repubblica, a conclusione di una delle sue recentissime missioni in Libia. “Dal 2 settembre 1969, ossia dal giorno del colpo di Stato, il raìs s’è sempre comportato come un criminale. Basti citare l’esempio di quando con le ruspe fece distruggere il cimitero italiano di Tripoli, o la quantità di dittatori africani che ha sostenuto e addirittura sovvenzionato, da Jean-Bédel Bokassa in Centrafrica a Charles Taylor in Liberia”. L’intervista si chiudeva con una robusta dose di cinismo. “Affari con Gheddafi? Non potevamo fare altrimenti, la Libia era ed è un paese importante per non trattare con chi lo dirigeva…”. Trattative e contratti multimiliardari quelli dell’ENI con l’ex dittatore di Tripoli. È con Scaroni (già vicepresidente Techint e amministratore delegato Enel, una condanna patteggiata a un anno e quattro mesi per il pagamento di tangenti al Psi di Bettino Craxi), infatti, che l’ENI si aggiudica quattro permessi esplorativi su una superficie di 17.876 Kmq nei bacini meridionali del Murzuk e di Kufra (aprile 2005) o sottoscrive un accordo da 28 miliardi di euro per lo sfruttamento per venticinque anni dei giacimenti di greggio e l’aumento della produzione di gas (giugno 2008).
Il 19 dicembre 2010, due mesi prima dell’inizio dei bombardamenti contro la Libia, l’amministratore delegato ENI aveva pure firmato con il primo ministro libico, al-Baghdadi Ali al-Mahmudi, un Memorandum of Understanding per la realizzazione di “1.000 unità abitative con relative infrastrutture di servizio, un porto navale, opere industriali e un impianto di desalinizzazione dell’acqua” nell’area di El Agheila, 280 Km ad ovest di Bengasi. Sempre sotto il regno di Scaroni, nel 2006 l’ENI ha sottoscritto un programma da 150 milioni di dollari con la Gheddafi Development Foundation e la compagnia petrolifera libica per la realizzazione di “progetti sociali” miranti alla “formazione professionale di giovani laureati, alla realizzazione di strutture ospedaliere, alla conservazione e ripristino del sito archeologico di Sabratha, all’intervento in campo di edilizia scolastica, ambientale ed industriale”. Scaroni non avrebbe sicuramente potuto fare altrimenti e di meglio con un “criminale” opportunamente “giustiziato” dai nuovi partner e soci del sistema Italia.

lunedì 24 ottobre 2011

NORADAR A CAPO SANDALO

Un "pericolosissima" cellula di combattenti No Radar (appartenente alla categoria dei Back Box) ha fatto irruzione oggi nel faro di Capo Sandalo (Carloforte) prendendone (simbolico) possesso.
 

venerdì 21 ottobre 2011

Cerca casa il radar anti-migranti di Siracusa

di Antonio Mazzeo.

Il primo dei nuovi radar anti-migranti della Guardia di finanza era stato installato segretamente lo scorso mese di febbraio nella penisola della Maddalena (Siracusa), una delle aree più importanti della Sicilia sotto il profilo ambientale, paesaggistico ed archeologico. Le vibrate proteste dei residenti e delle associazioni ambientaliste avevano però costretto il Comando delle fiamme gialle prima a sospendere l’attivazione degli impianti, successivamente a individuare un altro sito per re-installare il traliccio di 36 metri e i pericolosi sensori del sistema di sorveglianza costiera. I militari sono stati di parola e da un paio di giorni i tecnici di AlmavivA Spa di Roma, la società che ha ottenuto l’appalto per l’installazione e la manutenzione dei radar in sud Italia e Sardegna, hanno iniziato le operazioni di smontaggio dell’impianto.
Ad annunciare ufficialmente il dietro front della Guardia di finanza, la ministra dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, siracusana. “Lo spostamento del radar da una zona sottoposta a vincolo paesaggistico e dall’alto valore naturalistico, prospiciente l’Area Marina protetta del Plemmirio, è un risultato importante per tutta la cittadinanza”, ha commentato. “Un grazie particolare va alla Guardia di Finanza, che si è dimostrata particolarmente sensibile verso le istanze che stavano alla base della richiesta di spostamento del radar, ed ha cooperato con noi per il raggiungimento di questo risultato”. La ministra aveva ripetutamente fatto pesare tutto il suo potere politico per ottenere la rimozione del sistema di rilevamento. In una nota al quotidiano La Sicilia del 27 febbraio 2011, Stafania Prestigiacomo aveva definito un “errore a cui va posto rimedio” la scelta d’installare il radar al Plemmirio. “La costruzione di una struttura tanto ingombrante lungo il litorale di un’area marina protetta, che nella stagione estiva è densamente popolata, doveva essere evitata”. Parole sacrosante, peccato che la ministra non ha sentito il dovere di pronunciarle pure per i radar d’identica tipologia che la Guardia di finanza chiede d’installare all’interno dei parchi e delle riserve naturali di Puglia e Sardegna. Pugliesi e sardi, figli di un dio minore, hanno dovuto presidiare e bloccare gli ingressi delle aree prescelte ed appellarsi ai tribunali amministrativi per impedire la trasformazione dei territori in orrende postazioni elettromagnetiche per la guerra alle migrazioni.
“Possiamo rassicurare tutti che il nuovo impianto sarà realizzato all’esterno del comune di Siracusa”, hanno annunciato amministratori e fiamme gialle. Top secret il luogo dove risorgerà il traliccio radar. Negli ultimi mesi sono state fatte alcune ipotesi. L’Associazione degli industriali di Siracusa ha avuto l’ardire di proporre l’utilizzo di un camino od una torre nella zona industriale e del petrolchimico di Augusta-Priolo (una delle aree più inquinate di tutto il Mediterraneo), per poi scoprire che le emissioni elettromagnetiche del radar avrebbero potuto avere pericolose conseguenze per le strumentazioni di controllo degli impianti ospitati. Sempre la ministra Prestigiacomo si era detta disponibile ad offrire l’area della VED Vetroresina Engineering Development di Melilli (Sr), l’azienda di famiglia produttrice di tubi e cavi sottomarini. È probabile però, che alla fine il nuovo sensore della Guardia di finanza verrà installato in una delle tante aree sottoposte a servitù militare della fascia costiera sud-orientale compresa tra il Golfo d’Augusta, Pachino e Capo Passero.  
“Piena soddisfazione” per l’avvio delle procedure di rimozione del radar è stata espressa da Alessandro Acquaviva, coordinatore del circolo SEL di Siracusa. “Tale risultato è il frutto di una lunga mobilitazione della cittadinanza, delle associazioni ambientaliste, di quelle forze politiche che hanno sostenuto sin dall’inizio la protesta dell’associazione Plemmiryon che si è sviluppata attraverso sit-in, presidi, volantinaggi e assemblee”. Secondo Acquaviva, “a condizionare la decisione di rimuovere è stato anche l’esito favorevole dei recenti ricorsi presentati dai comitati civici della Puglia e della Sardegna contro l’installazioni di radar nei rispettivi territori”.
L’associazione Plemmyrion di Siracusa aveva evidenziato in particolare la “sorprendente velocità” con cui gli enti preposti avevano consentito l’istallazione di “un mostro ad altissima frequenza con onde elettromagnetiche che attraverseranno tutto il territorio della Penisola Maddalena, di Ortigia, cuore della città di Siracusa, delle zone residenziali di Fanusa, Arenella e Ognina”. L’ex presidente Marcello Lo Iacono aveva rilevato che la SAI 8, consegnataria per la gestione del pubblico acquedotto di Siracusa, aveva autorizzato le fiamme gialle a costruire la stazione di rilevamento in un “luogo difforme alla convenzione del Comune che invece faceva riferimento all’impianto di sollevamento fognario di Capo Murro di Porco, distante 2 km. Il radar è stato realizzato non rispettando né l’area stabilita di 88 mq né le distanze dai confini riscontrabili sulla pianta del progetto”.
L’installazione è poi avvenuta senza che il progetto fosse sottoposto a valutazione dell’incidenza ambientale, come invece previsto dalla direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche. “Manca inoltre uno studio sull’impatto elettromagnetico”, aggiunge Lo Iacono. “L’amministrazione militare si è limitata a presentare una dichiarazione di conformità redatta dall’ingegnere Gianpaolo Macigno di Siracusa, consulente tecnico della società appaltatrice, che ha tratto delle conclusioni manifestamente insufficienti a comprovare la non pericolosità delle radiazioni emesse dal radar. Peraltro le asserite misurazioni sono state effettuate prima ancora che esso venisse attivato. Lo stesso consulente precisa che si tratta di mere simulazioni numeriche e che solo a radar attivo si potrà valutare la reale situazione e accertare la conformità ai parametri di legge”.
I dispositivi radar per la rete di rilevamento anti-migranti sono stati prodotti da Elta Systems, società interamente controllata dal colosso industriale militare ed aerospaziale israeliano IAI. Codificati come EL/M-2226 ACSR (Advanced Coastal Surveillance Radar), fanno parte della famiglia di trasmettitori in X-band (dagli 8 ai 12.5 GHz di frequenza), che operano emettendo un’onda continua sinusoidale (CW Continuous Wawe), di cui può variare sia la frequenza che l’ampiezza.
A rilevare la pericolosità e alcune incongruenze tecniche degli apparati è stato il professore Massimo Coraddu, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), dopo uno studio dettagliato delle analisi d’impatto elettromagnetico presentate dalla società Almaviva per gli impianti di Siracusa e Gagliano del Capo (Lecce). “Esistono notevoli incertezze riguardo all’esatta modalità di funzionamento del radar, dovute all’incompletezza delle analisi e a incoerenza con quanto riportato dal costruttore”, afferma Coraddu. “Gravi incongruenze si rilevano nella documentazione riguardo l’ampiezza verticale del fascio e il guadagno d’antenna. La mancata conoscenza del diagramma radiante dell’antenna e della sua esatta forma fisica, non consente una precisa valutazione numerica delle emissioni, né in condizioni di campo vicino, né nell’approssimazione di campo lontano”.
“ELTA Systems specifica che l’impianto consente la sorveglianza dello spazio marino antistante, che viene esplorato sistematicamente, individuando eventuali bersagli e risolvendoli con grande precisione spaziale e temporale”, aggiunge il fisico. “Tali caratteristiche sembrano in contrasto con quanto dichiarato nella relazione dell’ing. Macigno, dove la velocità di rotazione è considerata costante e dove l’angolo d’inclinazione del radar rispetto alla superficie del mare è posto pari a 0°. Per il fatto che quest’angolo sia fissato sull’orizzonte e tenendo conto che si trova ad un’altezza maggiore di 100 mt, si viene a creare una zona d’ombra che non permetterebbe d’ispezionare la porzione di superficie marina più vicina alla costa che, secondo la diversa altezza delle sorgenti, può variare dai 200 ai 2.300 metri di distanza dal radar”.
A Coraddu, poi, sembra poco probabile che il radar possa valutare direzione, velocità e numero di persone a bordo di una piccola imbarcazione a 20 Km di distanza, come invece assicura la società produttrice, “scansionando semplicemente a velocità di rotazione costante il tratto di mare antistante”. “È verosimile invece che la velocità sia costante solo in fase di sorveglianza, mentre nel momento in cui un bersaglio viene individuato, il dispositivo possa essere bloccato e il fascio puntato e mantenuto sul target per tutto il tempo necessario alla sua completa definizione. Per tutto questo tempo il bersaglio sarà irraggiato con continuità e questa durata è quindi fondamentale per determinare la dose assorbita. Questo caso, nella valutazione del possibile danno alle persone, deve essere individuato come peggior incidente possibile”.
Massimo Coraddu denuncia come le misurazioni dei campi elettromagnetici siano state effettuate utilizzando la sonda isotropa EP330, fabbricata dalla NARDA Srl, che registra campi sino alla frequenza massima di 3 GHz, mentre il radar è programmato per emettere a frequenze molto superiori. “Non si è tenuto conto di tutti i contributi alle emissioni, nonostante le normative prevedano che le valutazioni vadano effettuate con tutte le sorgenti in funzione alla massima potenza”, aggiunge Coraddu. “Le stazioni di sorveglianza prevedono anche un dispositivo di telecomunicazione, un ponte radio, per inviare i dati in tempo reale al centro di Comando, Controllo, Comunicazioni, Computing ed Informazioni C4I del Comparto aeronavale della Guardia di finanza. Le emissioni di questo sistema Tlc devono quindi essere valutate e sommate a quelle del radar vero e proprio. In entrambe le analisi di impatto elettromagnetico non si è tenuto conto in alcun modo del contributo del ponte radio per le telecomunicazioni”. Radar anti-migranti dall’insostenibile impatto elettromagnetico, dunque, pericolosissimi per la salute dell’uomo e per le specie vegetali e animali.
Ulteriori ombre sulla nuova rete di sorveglianza costiera della Guardia di finanza sono state paventate da alcuni parlamentari del Pd. Con un’interrogazione presentata lo scorso 7 marzo alla Camera, prima firmataria l’on. Elisabetta Zamparutti, si sottolinea come l’asse del PON 1 con cui la Comunità europea ha finanziato l’acquisto dei radar in Israele, “prevede indicazioni di sostenibilità ambientale” e “riguarda la sicurezza in termini di inclusione sociale, di lotta alla criminalità organizzata che sfrutta il lavoro nero a danno degli immigrati, ecc. e non in termini di priorità di tipo militare”. “Parlare di difesa nazionale per il monitoraggio degli sbarchi clandestini sembra incongruente”, affermano gli interroganti. “Chiediamo se non si ritenga di bloccare i fondi per la realizzazione di un’opera il cui affidamento è avvenuto in contrasto con la normativa europea che prevede un bando pubblico di gara per affrontare i problemi legati all’immigrazione secondo una logica inclusiva e non di difesa militare.

I volontari ricostruiscono il presidio no radar


17 ottobre 2011 —   pagina 20   sezione: Nazionale
 SANT’ANTIOCO. Quello che non sono riusciti a fare la burocrazia e le autorità militari per la sistemazione del radar a Capo Sperone, sono stati capaci di farlo in poche ore i vandali. L’accampamento è stato devastato ma ieri mattina in volontati lo hanno rimesso in piedi.
 Lo spettacolo che si è presentato nei giorni scorsi al comitato no radare è stato deprimente: l’accampamento, sistemato a metà altezza della collina di Capo Sperone, era stato completamente devastato. Tende, baracche, sala riunioni, cambusa e tutto il materiale: tutto smontato, distrutto, lanciato in mezzo alla strada o scaraventato in un fossato. Dappertutto rifiuti di ogni genere. Un atto d’inciviltà, senza giustificazione, che il comitato no radar di Sant’Antioco non ha certo apprezzato. Ieri mattina un gruppo di trenta di persone si è rimboccato le maniche, ha infilato guanti e tuta da lavoro per a ripulire l’intera area. «Un atto vandalico fine a se stesso - ha commentato Dora Addabbo - che non vale un solo momento di discussione. Credo che il gesto non ha carattere politico perché tutta la città lagunare era ed è contraria all’istallazione del radar in uno dei luoghi più suggestivi dell’isola». Sul terreno è stato sparso un pò di tutto. Il frigo e la cucina adoperata per preparare il caffé agli ospiti e ai manifestanti, i vasetti con la vettovaglie, le sedie di plastica e i tavolini sono stata lanciati a metri di distanza. «E’ come se fosse passato un uragano - hanno detto i rappresentanti del comitato -. Non importa il danno subìto: abbiamo la capacità, il supporto e la determinazione di rifare il nostro campo base più robusto e più controllato». Tra gli operatori ecologici della domenica, tanti giovanissimi. «Sono qui - ha detto Veronica Mele, 17 anni, - perché questo scempio mi addolora. Non tanto per il danno quanto perché il nostro movimento si sta battendo per una causa giusta. Potevano evitarlo». Una domenica di lavoro straordinario e tutta la zona è stata ripulita. Ora il comitato no radar di Sant’Antioco chiederà al comune di trasferire in discarica i rifiuti. Nel piano di bonifica è stata anche prevista la raccolta differenziata.(ea)

lunedì 17 ottobre 2011

Luce verde alle maxi-antenne del MUOStro di Niscemi

http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2011/10/luce-verde-alle-maxi-antenne-del.html

giovedì 13 ottobre 2011


C’è da scommettere che è solo questione di giorni. A Niscemi (Caltanissetta) stanno per essere installate le maxi-antenne di uno dei quattro terminali terrestri del MUOS (Mobile User Objective System), il nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari delle forze armate Usa. La prima sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia ha infatti respinto la richiesta di sospensione dei lavori invocata dal Comune di Niscemi, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio (1.000 euro). La realizzazione degli impianti militari all’interno della riserva naturale “Sughereta”, Sito di Importanza Comunitaria (SIC), ha preso il via dopo che l’1 giugno 2011, il dirigente generale dell’Assessorato regionale del territorio e ambiente, Giovanni Arnone, ha autorizzato la Marina militare Usa ad occupare l’area sottoposta a tutela.
“Il ricorso si appalesa inammissibile, in quanto avente ad oggetto l’esecuzione del progetto positivamente valutato nella conferenza di servizi del 9 settembre 2008 anche con il nulla osta favorevole del Comune ricorrente, la cui possibilità di revoca appare dubbia”, scrivono i giudici del TAR siciliano. Il riferimento è a una vicenda dai contorni tutt’altro che lineari, protagonista l’amministrazione comunale di Niscemi che, perlomeno nella prima fase dell’affaire MUOS, non ha dimostrato il giusto tempismo né la necessaria attenzione.
Ricevuto il progetto d’installazione del MUOS Usa da parte della Regione Siciliana (3 aprile 2008), la relazione paesaggistica e la valutazione di incidenza ambientale da parte del 41° Stormo dell’Aeronautica militare di Sigonella (14 maggio), due mesi e mezzo dopo il Capo ripartizione del Comune trasferiva a Palermo la relativa documentazione per procedere all’istruttoria sulla valutazione di incidenza ambientale. Il 9 settembre si svolgeva la Conferenza dei servizi presso l’Assessorato al territorio e ambiente, nel corso della quale giungeva incredibilmente il parere favorevole allo studio predisposto da US Navy dell’Amministrazione di Niscemi e dell’ente gestore della riserva naturale. Fortunatamente esplosero le proteste e la mobilitazione contro quello che veniva ribattezzato l’Eco-MUOStro di Niscemi di migliaia di cittadini delle province di Catania, Caltanissetta e Ragusa che costrinsero gli amministratori a fare retromarcia e richiedere a tre tecnici (un cartografo, un agronomo e un botanico dell’Università di Palermo), di analizzare approfonditamente lo studio per la valutazione d’incidenza ambientale della Marina militare Usa. Il 10 ottobre 2009 i professionisti presentarono una relazione che bollava impietosamente la valutazione del progetto MUOS come “incompleta e di scarsa attendibilità” e con una documentazione allegata “discordante, insufficiente e inadeguata”. Un mese e mezzo più tardi l’amministrazione comunale annullava il nulla osta ambientale che era stato rilasciato in precedenza. Un provvedimento che il TAR non ha ritenuto di dover prendere in considerazione, come sono state del tutto ignorate le risultanze della relazione dei tecnici dell’ateneo palermitano.  
Ben altra considerazione i giudici amministrativi hanno avuto invece per la relazione pro-MUOS del Dipartimento di Ingegneria elettrica, elettronica e delle comunicazioni della facoltà di ingegneria della stessa Università di Palermo (mai consegnata agli amministratori di Niscemi), che pare fornisca dati ultratranquillizzanti sulle emissioni elettromagnetiche degli enormi impianti radar. Una valutazione che non è assolutamente condivisa dal professore Massimo Coraddu dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che nei mesi scorsi ha effettuato una dettagliata analisi sul pericolo MUOS proprio per conto del Comune di Niscemi.  
Nessuna preoccupazione è stata espressa dal TAR per l’insostenibile impatto che i lavori del MUOS arrecheranno al territorio, alla flora e alla fauna della riserva “Sughereta”. La rilevanza degli interventi è però analiticamente descritta nell’autorizzazione dell’Assessorato Regionale, dove sono pure previste  alcune prescrizioni per ammortizzare il più possibile gli effetti sull’ambiente. “Dovranno essere salvaguardati i due nuclei di vegetazione arbustive ed arborea rilevati dallo studio botanico e riscontrati nel corso del sopralluogo al limite sud-occidentale e sud-orientale dell’area d’intervento prevedendo lo spostamento della recinzione”, scrive il dirigente Giovanni Arnone. “A protezione delle scarpate circostanti l’impianto e delle canalette in terra, dovrà essere realizzato un impianto di specie arbustive con Phillyrea latifoglia, Pistacia lentiscus, Rosmarinus officinalis, Calicotome spinosa, Ampelodesma mauritanicus. Il periodo di esecuzione dei lavori dovrà essere compatibile con le esigenze degli uccelli migratori abituali (coturnice, ghiandaia e magnanina), evitando di effettuare i lavori di maggiore impatto nel periodo compreso tra aprile e giugno e l’impianto d’illuminazione dovrà essere realizzato mediante l’utilizzo di luci schermate e direzionali onde evitare l’inquinamento luminoso aereo. Dovrà infine essere garantito il contenimento delle polveri e ridotto l’impatto acustico con l’utilizzo di dispositivi di attenuazione del rumore”. Le azioni di sorveglianza delle prescrizioni sono state affidate all’Ispettorato delle foreste di Trapani. Compito ingrato, tenuto conto che i forestali si trovano di fronte i contractor e i marines della prima potenza bellica del pianeta.  
Immediata la reazione del sindaco di Niscemi, Giovanni Di Martino, alla bocciatura della richiesta di sospensione dei lavori. “Prendiamo atto che anche il TAR Sicilia non esprime solidarietà con la popolazione che ha espresso la propria contrarietà all’installazione dell’antenna statunitense MUOS”, afferma Di Martino. “Si tratta di un atto assolutamente impositivo che non tiene conto del principio di precauzione e quindi di tutela della salute e dell’ambiente. La nostra battaglia non si ferma qui, ricorreremo infatti al Cga. Niscemi non merita di essere trattata in questo modo”.
Piena solidarietà ai cittadini e agli amministratori in lotta contro il “pesante e invasivo sistema di telecomunicazione satellitare, finalizzato al controllo del Mediterraneo da parte degli Stati Uniti d’America” è stata espressa dal consigliere nazionale di Italia Nostra, Leandro Janni. “Siamo disponibili ad intraprendere eventuali azioni legali contro il MUOS, esattamente come abbiamo fatto davanti al Tribunale amministrativo regionale di Cagliari, che meno di una settimana fa ha accolto a pieno le nostre richieste, sospendendo l’installazione della rete di radar della Guardia di finanza lungo le coste occidentali della Sardegna”.
Un appello per rilanciare la mobilitazione e l’azione diretta contro i crescenti processi di riarmo e militarizzazione della Sicilia è giunto dagli attivisti no war. “Un primo appuntamento è il 15 ottobre a Catania per gli indignados che non potranno raggiungere Roma per la grande manifestazione nazionale contro le politiche neoliberiste della Banca Centrale Europea e del Fondo monetario internazionale”, afferma Alfonso Di Stefano della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella. “L’iniziativa avrà tra i suoi punti qualificanti proprio l’opposizione all’installazione del MUOS e ci confronteremo con gli aderenti dei comitati No MUOS locali per costruire una grande manifestazione a Niscemi a fine ottobre”.

POLIGONO DI QUIRRA: L’AVVERARSI DI PREVEDIBILI PROFEZIE…



Passata l’Estate erano attesi nuovi sviluppi della vicenda che ha portato al sequestro giudiziario del Poligono Interforze del Salto di Quirra, il più grande poligono sperimentale d’Europa. La vicenda giudiziaria ha ricadute pesanti ed immediate sulla lotta che da anni si svolge contro la presenza militare, ed è dunque necessario aggiornare i fatti, e darne una lettura.

Non è mai simpatico riscontrare che le proprie previsioni hanno colto nel segno, specie quando si trattava di previsioni negative:


-  Come volevasi dimostrare il Magistrato è arrivato ad un compromesso con le autorità militari, che d’altra parte hanno minacciato di sollevare l’eccezione della “difesa nazionale” contro qualsiasi ipotesi di fermo delle operazioni militari al poligono.

Il compromesso, che consente il dissequestro dell’area e la ripresa delle attività, si articola grossomodo su due punti:

1) l’ammissione che il territorio del Poligono è inquinato dalle attività belliche

2) la promessa di non inquinare più, limitatamente però alla attività dei brillamenti, delle prove esplosive sui gasdotti e dell’interramento selvaggio di residui bellici. E i campi elettromagnetici ? ed i combusti chimici ? E le polveri mandate in sospensione dalle esplosioni ?

3)  l’assegnazione ai militari stessi del compito di mettere in sicurezza l’area, cosa ben diversa da bonificare. A parte che le aree interessate dall’inquinamento dovrebbero in gran parte ancora essere scoperte (e quindi non si capisce in base a quali valutazioni si parli di “700 ettari di territorio”), non è affatto chiaro ne’ quali siano i protocolli in base ai quali sarà fatta la “messa in sicurezza”, ne’ chi la finanzierà, ne’ chi ne controllerà l’efficacia (avendo i titoli e gli strumenti per farlo), ne’ soprattutto se a questa “messa in sicurezza” seguirà mai una bonifica, o se invece quel territorio sarà da considerarsi per sempre chiuso ad ogni utilizzo.


- Come volevasi dimostrare, una volta che i militari hanno ottenuto un risultato per loro accettabile, hanno anche smesso di preoccuparsi di quei pastori ai quali era concesso di utilizzare terreni interni al Poligono ed il cui allontanamento era stato ordinato dalla Magistratura. E che ora si trovano nuovamente sotto sgombero, senza neanche aver ricevuto dalla Regione il promesso “anticipo sugli indennizzi”. La Regione si giustifica affermando che tali indennizzi sarebbero stati dovuti nel caso in cui fosse riconosciuto il dolo da parte di un ente dello Stato, cosa che avverrà – eventualmente - in sede di processo. Fuori da questa eventualità questi soldi sono considerati un “aiuto di stato” non dovuto, e quindi soggetto a contestazione da parte della Comunità Europea. Evidentemente, se ci fosse la volontà di intervenire, la Regione potrebbe trovare qualche altra modalità… ma forse è proprio la volontà che manca, visto che è una situazione che coinvolge pochi operatori in un territorio marginale. Peraltro l’avvicendamento all’assessorato alla sanità svincola l’attuale assessore dagli impegni presi dal suo predecessore. I pastori restano un problema solo per i sindaci che devono dimostrare - a loro ed alla comunità - di aver fatto tutto il possibile e di non avere responsabilità in merito e contemporaneamente gestire la fuoriuscita degli allevatori. C’è da chiedersi come potrà riuscire in ciò il sindaco di Villaputzu che negli ultimi due anni ha trascurato di pagare ai militari il canone per l’uso dei pascoli, cosa che mette automaticamente nella condizione di “abusivi” gli allevatori che lavorano in quei terreni.


- Come volevasi dimostrare ancora una volta agli studi ed analisi dei Consulenti della Procura ne vengono opposti altri, secondo un abusato schema di difesa volto a confondere le acque e privare di legittimità la controparte. L’ultima notizia è che il Ministero della Difesa ha commissionato l’ennesima indagine su stesso, nientedimeno che al quel prof. Cocco, epidemiologo dell’Università di Cagliari, che già in passato si è espresso circa il fatto che la situazione del Poligono non destasse alcun motivo di allarme. Essendo già nota l’opinione di Cocco, è chiaro che lo si sta pagando (con soldi pubblici) affinché trovi nuove ragioni alla sua opinione (ed a quelle della sua committenza). Possiamo quindi in anteprima pubblicare le conclusioni dello studio di Cocco: “è tutto a posto, non ci sono anomalie significative, ecc.ecc. bla bla”. In questa strategia clientelare registriamo anche la notizia di una convenzione tra Vitrociset e la facoltà di ingegneria dell’università di Cagliari, finora sempre marginalizzata dal Poligono in quanto poco in grado di esprimere un supporto scientifico-tecnologico adeguato. E’ chiaro che questo protocollo non è dovuto tanto al miglioramento dell’Università di Cagliari sotto il profilo della ricerca, quanto alla necessità di spartire la torta con un po’ di maggiorenti locali, utili alleati nei momenti di crisi.


A questo punto dovrebbe essere a tutti leggibile come l’indagine della Magistratura potrà approdare al massimo ad una imputazione per reati commessi nel passato da singoli soggetti eventualmente rinviabili a giudizio per i fatti specifici. Non solo non sarà questa la strada che porrà fine alla servitù militare, ma al contrario questa indagine metterà una pietra tombale su qualsiasi velleità di riappropriazione del territorio e di allontanamento delle industrie di morte tramite “strumenti democratici”.

Altresì dovrebbe essere chiaro che tutto ciò è possibile anche per il fatto che localmente il dissenso verso i militari non riesce ad esprimersi in maniera diversa dal bisbiglio domestico, mentre ovunque nell’isola, e in maniera sempre più sfacciata, nuove servitù militari avanzano nella ignavia o complicità delle amministrazioni locali.



Indubbiamente oggi si sa molto di più su questi poligono: nessuno può più dire che l’attività militare preservi il territorio, ma ciò nonostante si continua a negare che l’inquinamento possa avere delle ricadute sulla salute (o meglio, si cerca di dimostrare che siano statisticamente irrilevanti…). Nessuno può negare che dell’enorme fiume di soldi prodotto attraverso l’industria della guerra, solo le briciole restano alle popolazioni locali. Nessuno può negare che la gestione del territorio sia del tutto opaca alla cittadinanza, che le sperimentazioni siano fatte senza alcuna preoccupazione o scrupolo per l’ambiente e le persone, che nella logica della base sperimentale di armamenti ci sta il fatto di sfuggire a qualsiasi controllo. Nessuno può far finta di non sapere che ciò che viene sperimentato e venduto a Quirra sarà poi usato nelle guerre in tutto il mondo, e che ad usarlo saranno i militari addestrati a Quirra.

Ma se la conoscenza di tutti questi fatti lascia la coscienza a posto, allora si potrà ancora continuare a pensare che un lavoro al Poligono è sempre un buon impiego….

 

ATOBIU DEI GRUPPI AUTOGESTITI PER LO SMANTELLAMENTO DEL PISQ

http://smantellamentopisq.blogspot.com

mercoledì 12 ottobre 2011

Triplice stop del Tar Sardegna ai radar anti-migranti di Antonio Mazzeo

No Radar 3, GdF Almaviva 0. È festa tra i comitati che si
oppongono all’installazione dei radar anti-migranti in alcune delle
aree naturali più incantevoli della Sardegna. Il Tribunale
Amministrativo Regionale di Cagliari ha accolto le richieste di Italia
Nostra e del Comune di Tresnuraghes, ordinando la sospensione dei
lavori nei tre siti prescelti dal Comando generale della Guardia di
finanza per i sensori che dovrebbero impedire gli irrealistici sbarchi
d’immigrati nelle coste sarde. Il secondo round è previsto per il 25
gennaio 2012, quando il Tar si pronuncerà sul merito dei ricorsi.
“Per
adesso i siti costieri di Flumenimaggiore, Sant’Antioco e Tresnuraghes
sono salvi”, commenta il segretario regionale di Italia Nostra,
Graziano Bullegas. “L’orientamento manifestato dai giudici
amministrativi ci fa sperare in una decisione sul merito favorevole, in
modo da chiudere definitivamente la partita con il dissennato progetto
della rete anti-migranti della Guardia di finanza e della società
chiamata a curarne l’allestimento, Almaviva S.p.a. di Roma”.
Per
Leandro Janni, consigliere nazionale dell’associazione, la triplice
decisione del Tar cagliaritano rappresenta una “nuova, importante e
autorevole affermazione dei valori dell’ambientalismo”. “Nelle
ordinanze – spiega Janni - sono stati presi in considerazione il
principio di precauzione, ma anche i diritti alla salute, alla
salubrità dell’ambiente e ad un paesaggio non devastato. Principi e
diritti collegati fra loro, con un nucleo centrale comune, espressione
di un sentimento del vivere e di un’idea sana della vita. Un’
esemplificazione sul campo dell’irrinunciabilità ad
ulteriori indicatori di benessere, individuando il bene comune
come il fondamento stesso della democrazia e della libertà”.
Nelle
ordinanze di sospensione dei provvedimenti che hanno autorizzato la
Guardia di finanza ad installare i radar di produzione israeliana, il
Tar sottolinea come “l’interesse nazionale perseguito con la
realizzazione dell’opera cede di fronte al superiore interesse pubblico
costituito dalla tutela della salute, pacificamente intesa come diritto
soggettivo della persona e come interesse della collettività ad un
ambiente salubre”.“Il legame di questo diritto con la tutela della
salute attribuisce ad essa il valore dell’assolutezza”, aggiunge il
Tar. “Ciò significa che va protetto contro ogni iniziativa ostile da
chiunque essa provenga e con la conseguenza che esso ha anche una
valenza incondizionata”.
Per i giudici amministrativi, la tutela della
salute va ampliata fino a comprendere le ipotesi in cui i rilievi
scientifici non raggiungano una “chiara prova di nocività a lungo
termine”, per cui “occorre applicare il principio di minimizzazione,
corollario del principio di precauzione di derivazione comunitaria”.Il
principio della salubrità dell’ambiente deve essere inteso inoltre non
solo come assenza di danno ma “anche e soprattutto come assenza di
alterazione irreversibile o comunque permanente di fattori ambientali,
la cui cura è affidata alla pubblica amministrazione in modo
prioritario rispetto ad altri interessi”. Un’affermazione
inequivocabile che nella gerarchia dei valori, la difesa dell’ambiente
e della salute umana è incomparabile.
Nelle ordinanze di sospensione
dei lavori, vengono pure rilevate incongruenze nelle valutazioni sulla
sostenibilità ambientale della nuova rete radar della Guardia di
finanza. “Il parere dell’ARPAS, l’Agenzia regionale per la protezione
dell’ambiente, non sembra reso sulla base di una approfondita
istruttoria, ma, per stessa ammissione dell’Amministrazione procedente,
in modo frettoloso per non perdere i finanziamenti per questa opera di
interesse nazionale”. Inoltre, appaiono “erronee o comunque
approssimative” le valutazioni negative effettuate dal Servizio
sostenibilità e valutazione impatti (Savi) dell’Assessorato regionale
alla Tutela dell’Ambiente. “Tale giudizio – afferma il Tar - appare
reso in difetto di appropriata considerazione delle caratteristiche dei
siti ove gli impianti dovrebbero sorgere”. Per i radar anti-migranti,
infatti, si è deciso incomprensibilmente di utilizzare aree protette d’
incomparabile pregio
 naturalistico e paesaggistico.  
Nello
specifico, il Collegio rileva che nel caso di Sant’Antioco, l’area
prevista per l’installazione ricade nell’ambito n. 6 “Carbonia ed Isole
Minori” del Piano paesaggistico regionale e nella Zona di protezione
speciale (Zps) perimetrata ai sensi della Direttiva 79/409/CEE. Per
Fluminimaggiore, invece, l’area ricade nell’ambito n. 8 “Arburese” del
Ppr e in Zona SIC (sito d’interesse comunitario), perimetrata ai sensi
della Direttiva 92/43/CEE. Nonostante le tutele delle leggi, le
autorità competenti hanno rilanciato autorizzazioni per lavori
notevolmente impattanti. Nei siti si prevede l’estirpazione di macchia
mediterranea in superfici estese tra i 200 e i 300 mq; il
posizionamento di shelter di dimensioni 6x2,5x2,7; la realizzazione di
basamenti di cemento armato (al 95% interrati e sporgenti dal terreno
per 10–15 cm) e di reti metalliche elettrosaldate alte 2 metri; il
trasporto e l’installazione di torri d’acciaio
 con porta antenna, alte
tra i 10 e i 12 metri.
Come denunciato da Italia Nostra e dai comitati
No Radar sorti nell’isola, prima dei pronunciamenti del Tar, sono stati
effettuati alcuni interventi nelle aree sottoposte a tutela ambientale.
“Lo scorso 24 marzo, ad esempio, in località “Capo Sperone - Su
Semafuru” a Sant’Antioco, alcuni lavoratori hanno avviato il
decespugliamento nella sommità del colle, in un’area diversa da quella
indicata in progetto e per la quale era stato rilasciato parere
positivo dalla Soprintendenza delle Province di Cagliari e Oristano”,
afferma Graziano Bullegas. “Sul luogo non è stato però rinvenuto alcun
cartello di cantiere indicante l’oggetto dei lavori, la data d’inizio
degli stessi, il committente, la ditta esecutrice e quant’altro che per
legge dia conto della natura e regolarità delle attività svolte”. E la
non corrispondenza tra il cantiere contrassegnato per i lavori e l’area
autorizzata per l’ubicazione del radar si è ripetuta
 pure nel caso di
Tinnias, Tresnuraghes.
“Il 13 maggio sono iniziati i lavori pure a
Punta Vedetta, in località Argentiera, nel comune di Sassari”, aggiunge
il segretario regionale di Italia Nostra. “In questo caso i lavoratori
della ditta preposta sono arrivati con una macchina operatrice con l’
intenzione di spianare l’area, ma i lavori non hanno avuto corso perché
numerosi cittadini e successivamente gli amministratori comunali, hanno
chiesto di capire cosa si stava cercando di realizzare e i lavoratori
hanno quindi desistito”. Almaviva S.p.a. ha poi sospeso ogni
intervento. Gli ambientalisti fanno pure notare che Punta Vedetta è
stata individuata come “area a forte rischio di frane” dal Piano per l’
assetto idrogeologico della Sardegna, così come dalla relazione
ambientale allegata al Piano urbanistico del comune di Sassari.
Molto
più devastanti i lavori avviati a fine marzo in località Capo Pecora –
Fluminimaggiore, subito bloccati dal presidio spontaneo di donne
e  giovani locali. Le ruspe hanno sbancato il cucuzzolo di Murru
Biancu, la collina che domina il litorale vicino alla provinciale,
sfregiando il territorio con una nuova arteria stradale di oltre 200
metri di lunghezza e 4-6 metri di larghezza. “Le prime piogge autunnali
hanno trasformato i tornanti in un pericoloso letto di fango mentre
sono visibili gli scavi da cui sono stati asportati illegalmente decine
e decine di metri cubi di terra e inerti”, denunciano i No Radar.
“Questi interventi non risultano essere mai stati autorizzati dall’
amministrazione comunale e comunque sono sicuramente in contrasto con l’
autorizzazione rilasciata dal SAVI il 31 gennaio 2011”.
Stando ad una
prima ricerca catastale, i terreni su cui dovrebbe sorgere il radar di
Fluminimaggiore sarebbero stati dati in comodato d’uso alla Guardia di
finanza dalla Forma Urbis S.p.a. di Padova. La società è proprietaria
nella zona tra Arbus e Fluminimaggiore di circa 540 ettari, rilevati
anni fa dall’azienda agricola dei Casana. Nel febbraio 2004, gli
architetti veneti Gianpietro Gallina e Albano Salmaso, titolari del 50%
della quota sociale di Forma Urbis, presentarono agli amministratori
locali un progetto per un complesso turistico-residenziale di 120.000
metri cubi di cemento, fortunatamente mai decollato. A fine 2006, i due
professionisti trasferirono per 20 milioni di euro le loro quote a
Mauro Benetton, ex direttore generale di Ducati Motor Holding e
responsabile marketing dell’omonimo gruppo familiare (Mauro è figlio di
Luciano Benetton). Attualmente l’altro 50% della S.p.a. è in mano ai
fratelli Alessandra, Enrico, Paola e
 Lorenza Toffano, anch’essi
veneti, già titolari di una consistente quota azionaria della catena di
supermercati Despar. Per la cronaca, Forma Urbis è pure proprietaria di
una parte dei terreni della costa di Teulada, fra Capo Spartivento,
Tuerredda e Malfatano, dove si sta costruendo un mega complesso
turistico-alberghiero fortemente osteggiato dagli ambientalisti sardi.
Per il cosiddetto “Piano Malfatano” sono scesi in campo, accanto alla
società di Padova, due big della portata di Francesco Gaetano
Caltagirone ed Emma Marcegaglia, mentre sono state commissionate al
Dipartimento d’Ingegneria del territorio dell’Università di Cagliari le
“linee guida per la gestione ambientale del piano di sviluppo
turistico”. Direttore scientifico, il professore Giancarlo Deplano.

Nelle ordinanze di sospensione dei provvedimenti autorizzativi dei
lavori, il Tribunale amministrativo di Cagliari lamenta infine l’
assenza di studi o riferimenti, da parte degli organi competenti, dell’
impatto che le onde elettromagnetiche potrebbero generare sugli
abitanti e sulle specie animali che popolano le aree interessate ai
radar. Una delle motivazioni addotte dall’Avvocatura dello Stato per
giustificare la scarsa attenzione verso i rischi elettromagnetici degli
impianti è quella che “ai sensi dell’articolo 2 comma 3 della legge
quadro del 22 febbraio 2001 sulla protezione delle esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici, nei riguardi delle Forze
armate e delle Forze di polizia le norme sono applicate tenendo conto
delle particolari esigenze del servizio espletato”. Affermazione che
contraddice la Guardia di finanza che continua a sostenere in ogni sede
l’innocuità dei radar israeliani e il pieno rispetto delle
 norme
legislative sui limiti delle emissioni.
Di altro avviso sono invece i
giudici del Tar. “Le opere in argomento – scrivono - benché certamente
da considerarsi d’interesse statale e destinate all’esecuzione di
compiti istituzionali di un Corpo nazionale di polizia ad ordinamento
militare, sono sempre qualificate, nelle comunicazioni dell’
Amministrazione, come opere di carattere civile”. Grazie a questo
escamotage, la concessione delle autorizzazioni per gli impianti radar
è avvenuta senza la convocazione del Comitato misto paritetico Stato-
Regione sulle servitù militari.
Sulla rilevanza strategico-militare
della nuova rete di rilevamento della Guardia di finanza si è espresso
il senatore Pd Antonello Cabras, vicepresidente della delegazione
parlamentare italiana alla Nato (ed ex sindaco di Sant’Antioco). “I
radar sono indispensabili per prevenire ogni possibile azione contro la
sicurezza dell’Europa e la loro funzione anti-clandestini è solo un
aspetto del progetto”, ha dichiarato Cabras a margine del vertice del
Patto Atlantico tenutosi nell’isola della Maddalena, lo scorso mese di
luglio. Ancora più esplicito l’ammiraglio Samuel J. Locklear III,
comandante delle forze navali Usa e Nato per il Sud Europa e l’Africa.
“Dobbiamo garantire la sicurezza nel Mediterraneo e per questo dobbiamo
contare su una rete analoga a quella usata contro i narcotrafficanti”,
ha spiegato l’alto ufficiale. “Attraverso i nostri apparati di
controllo oggi possiamo vigilare sul 60% degli specchi d’acqua, in
futuro
 dovremmo portare questo livello al 70-80%. Per farlo non è
indispensabile avere nostre unità costantemente in mare per compiti di
pattugliamento. Èsufficiente che la Marina, grazie alla sorveglianza
dei radar, possa intervenire rapidamente, dove necessario”. Ben vengano
dunque le selve d’antenne in Sardegna e in sud Italia per la guerra
alle migrazioni e ai migranti…

Nuovo Numero di SA TIRIA

E' uscito il nuovo numero di SA TIRIA in versione scaricabile qui. per diveri problemi diffondiamo solo ora ma a breve ci sarà una nuova uscita con i doverosi aggiornamenti sulla situazione radar.


pag.1 e 4

http://www.mediafire.com/?wx5n2k49eh826el 

pag. 2 e 3

http://www.mediafire.com/?0lt45olljaripf0

venerdì 7 ottobre 2011

Radar: il Tar bacchetta forte Governo e Regione



La decisione del Tar sui Radar va oltre ogni più rosea aspettativa di Italia nostra, dei difensori e del Comitato No Radar. Il giudice amministrativo impartisce al Ministero e alla Regione una vera lezione di diritto costituzionale e di civiltà giuridica, tanto più apprezzabile in quanto espressa in un ordinanza e non in una sentenza.
Udite! Udite! Il Tar muove da un preciso inquadramento dei siti e dell’entità delle opere da costruire. L’area interessata dalla installazione del radar è “un sito di interesse comunitario di particolare pregio naturalistico e paesaggistico…”.
Detto questo il Giudice passa all’esame dell’intervento da realizzare che ”consiste:
nel trasporto e installazione di una torre d’acciaio (alta 10 metri) con porta antenna;
nel trasporto e posizionamento di un contenitore (shelter) di dimensione 6,00 metri x 2,5 metri x 2,7 metri previa realizzazione del basamento (getto di calcestruzzo cementizio armato con una doppia rete elettrosaldata di acciaio, al 95% interrato e sporgente dal terreno 10 – 15 cm) che isoli lo shelter dal terreno;
nella realizzazione della recinzione e del cancello a sicurezza degli impianti e del contatore Enel, per un totale di 300 mq di superficie e rete metallica elettrosaldata di altezza pari a 2 metri”.
Segue una lezione di alta cultura giuridica costituzionale a Governo e Giunta regionale sul diritto alla salute e alla tutela dell’ambiente, sulla base del ricorso dei legali di Italia nostra, articolata in punti:
“1) l’interesse nazionale perseguito con la realizzazione dell’opera pubblica qui all’esame cede di fronte al superiore interesse pubblico costituito dalla tutela della salute;
2) la tutela della salute nell’ordinamento italiano è pacificamente intesa come diritto soggettivo della persona e come interesse della collettività ad un ambiente salubre;
3) è del tutto evidente che la salute può subire nocumento dalla degradazione dell’ambiente;
4) i due beni, ambiente e salute sono pertanto caratterizzati da una forte interazione reciproca tanto che, lo stesso legislatore da tempo ha sottolineato il nesso tra salute e condizioni ambientali (si vedano a tal proposito, tra gli altri, gli artt. 2 e 4 della L. 833 del 1978 in cui si fa espresso riferimento ai fatti aggressivi provenienti dall’ambiente naturale tra le possibili cause di lesione della salute umana);
5) il legame del diritto all’ambiente salubre con la tutela della salute attribuisce a tale tutela il valore della assolutezza; ciò significa che esso va protetto, come afferma attenta dottrina, contro ogni iniziativa ostile da chiunque essa provenga e con la conseguenza che esso ha anche una valenza incondizionata;
6) la tutela deve ritenersi ampliata fino a comprendere le ipotesi in cui i rilievi scientifici non hanno raggiunto una chiara prova di nocività a lungo termine per cui occorre applicare il principio di minimizzazione che costituisce il corollario del principio di precauzione di derivazione comunitaria;
7) non si può inoltre non ricordare che la salubrità dell’ambiente va intesa non solo come assenza di danno ma anche e soprattutto come assenza di alterazione irreversibile o comunque permanente di fattori ambientali la cui cura è affidata alla pubblica amministrazione in modo prioritario rispetto ad altri interessi”.
Poi la critica severa all’Arpas. Sentite. “Il parere dell’ARPAS non sembra reso (stante anche la complessità della questione dal punto di vista scientifico) sulla base di una approfondita istruttoria;
risulta dagli atti di causa che l’ARPAS, in un primo momento, ha espresso parere negativo relativamente al radar di Tresnuraghes di caratteristiche analoghe se non identiche rispetto a quello di Fluminimaggiore in un sito, le cui condizioni ambientali non sembrano essere più sfavorevoli per la installazione, rispetto a quelle interessanti il sito qui all’esame, in cui è evidente e nota la presenza di cittadini e di turisti (circostanza sulla quale non sembra vi sia stata una attenta considerazione da parte dell’ARPAS), onde tornare repentinamente sulla decisione in sede di conferenza di servizi (relativamente al radar da installare a Tresnuraghes);
appare, in definitiva, ad un primo esame fondato il quinto motivo di ricorso”.
Ma non basta. Il Tar bastona anche il SAVI regionale.
“L’area di intervento ricade in una Zona SIC perimetrata ai sensi della Direttiva 92/43/CEE. Appare erronea o comunque approssimativa la valutazione negativa effettuata dal Servizio Savi in ordine alla necessità della valutazione di incidenza; tale giudizio del Servizio Savi appare reso in difetto di appropriata considerazione delle caratteristiche del sito ove l’impianto dovrebbe sorgere.
Secondo tale parere l’intervento non avrebbe effetti sulle specie animali o vegetali presenti nella Zona SIC.
Risulta dall’esame degli atti di causa che:
1) l’area sarebbe interessata da lavori che prevedono l’estirpazione di macchia mediterranea, la realizzazione di un basamento di cemento armato, la realizzazione di un manufatto, la installazione di un traliccio di notevole altezza, la realizzazione di une rete metallica, il tutto in un sito di rilevantissimo pregio naturalistico;
2) non viene in alcun modo fatto riferimento all’impatto che le onde elettromagnetiche potrebbero spiegare sulle specie animali oggetto di protezione”.
Poi una botta anche alla Regione che agisce, su delega del Presidente Cappellacci, tramite l’avvocatura reginale: “Il Collegio ritiene di non condividere il riferimento (pagina 6 della memoria depositata dalla difesa regionale) al generale principio di economicità e non aggravamento dell’azione amministrativa, posto che gli interventi in siti quali quello oggetto della presente controversia devono, invece, essere caratterizzati da estrema cautela e da adeguata ed approfondita istruttoria”. Insomma, un severo monito all’Amministrazione regionale a tutelare il proprio patrimonio paesaggistico e amibientale!
Quindi il dispositivo: blocco dei lavori e udienza al 21 gennaio per la sentenza. Dopo questa ordinanza, salvo miracoli, i radar sono spacciati. Il governo può rispedirli al mittente o rottamarli. Ma la battaglia non è vinta finché non c’è una sentenza favorevole passata in giudicato. Ed allora? Mobilitazione continua.