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venerdì 30 dicembre 2011

Spuntano come funghi i radar anti-migranti



di Antonio Mazzeo
Le fiamme gialle prima azzerano, poi raddoppiano e adesso triplicano i radar di produzione israeliana da installare in Italia per impedire gli sbarchi dei migranti. Preoccupate di vedere ancora una volta non riconosciute le proprie ragioni dal Tar Sardegna, hanno dato mandato all’Avvocatura dello stato di depositare un atto alla cancelleria del Tribunale di Cagliari con cui si ufficializza la rinuncia alla realizzazione dei radar a Tresnuraghes e a Capo Sperone (Sant’Antioco) e, di conseguenza, il ritiro dal procedimento scaturito dal ricorso degli ambientalisti e dell’amministrazione locale. Nell’ottobre scorso, i giudici avevano ordinato la sospensione dei lavori di realizzazione degli impianti di sorveglianza previsti dalla Gdf nella costa occidentale dell’isola, a salvaguardia dei diritti fondamentali alla salute e alla salubrità dell’ambiente.
“Per motivi sopravvenuti, anche connessi alle manifestazioni di protesta delle popolazioni e all’intervenuta perdita nelle more del giudizio dei previsti finanziamenti, le amministrazioni sono addivenute alla decisione, pur nella motivata fiducia che i ricorsi avrebbero dovuto essere dichiarati irricevibili, di non coltivare ulteriormente il disegno di installare l’apparato nel sito per cui è causa”, si legge nella memoria depositata dall’Avvocatura. Scontato il ritiro delle fiamme gialle anche dal contenzioso relativo al radar anti-migranti di Capo Pecora (Fluminimaggiore), su cui il TAR si dovrebbe pronunciare in udienza pubblica il prossimo 25 gennaio. I No Radar sardi ritengono che nei prossimi giorni sarà pure formalizzato dai militari il dietro front dal quarto sito prescelto, l’Argentiera, nel comune di Sassari.
La Guardia di finanza ha fatto tuttavia sapere di non aver cancellato la rete di sorveglianza radar ma di avere solo dirottato i quattro impianti della Sardegna nei siti militari di Capo Sant’Elia a Cagliari, Capo Sandalo a Carloforte, Capo San Marco a Oristano e Capo Caccia ad Alghero. Ciò le consentirebbe di glissare i pronunciamenti del TAR e prevenire nuove azioni di blocco dei cantieri da parte delle popolazioni e delle amministrazioni locali. Se poi gli impianti radar venissero classificati come opere militari e/o d’interesse strategico, si potrebbe sperare di velocizzare gli iter realizzativi e di ridurre all’osso i pareri e le autorizzazioni ambientali. Modalità operative che non trovano il consenso delle associazioni ambientaliste e dei comitati che si oppongono alle pericolose emissioni elettromagnetiche dei radar e alle politiche di contrasto militare dei flussi migratori nel Mediterraneo.
La rinuncia della Guardia di finanza ad installare i radar nei promontori di Capo Sperone, Capo Pecora, Ischia Ruja e Argentiera rappresenta un importante risultato per i Comitati della Sardegna”, afferma Italia Nostra che con i suoi ricorsi aveva ottenuto la sospensione dei lavori. “Di fronte ad una eventuale ulteriore sentenza sfavorevole, la GdF sceglie di ritirarsi di buon grado e di individuare altri siti, vecchi fari della Marina militare per i quali le Amministrazioni locali hanno progettato il recupero finalizzato ad un riutilizzo pubblico del bene. Questi fari, ubicati lungo la costa occidentale della Sardegna, sovrastano promontori che possiedono le stesse caratteristiche ambientali e paesaggistiche di quelli individuati in precedenza”.
“Considerati i costi di installazione dei radar GdF e di acquisto di quelli della Guardia Costiera, si risparmierebbero oltre 400 milioni di euro se si decidesse di rinunciare ad essi”, prosegue Italia Nostra. “È bene ricordare che abbiamo presentato qualche mese fa una denuncia alle Procure della Repubblica competenti con la quale si evidenziavano le numerose “anomalie” riscontrate nell’iter procedurale di rilascio delle autorizzazioni e i veri e propri abusi causati dall’apertura dei cantieri. Continueremo l’impegno ambientale assieme ai cittadini e agli amministratori delle altre località interessate dai nuovi insediamenti. Tre di questi siti dovranno addirittura ospitare i radar VTS della Guardia costiera con le conseguenze negative dovute alla somma delle emissioni elettromagnetiche degli apparati”.
La rabbia dei NoRadar è cresciuta dopo la pubblicazione di una missiva del comandante generale della Guardia di finanza, Michele Adinolfi, inviata l’1 luglio scorso allo Stato maggiore della Marina militare, al Comando delle Capitanerie di porto e al Ministero dell’interno. Nel richiedere la “concessione di ospitalità presso siti in uso alla Marina militare ed alle Capitanerie di porto”, il comando delle fiamme gialle rivela infatti che sono ben diciassette i radar di profondità israeliani (modello EL/M-2226 ACSR) destinati ad essere piazzati in buona parte d’Italia.
“Il progetto della rete radar costiera muove da concrete esigenze operative inserite in un più ampio disegno, condiviso dal Ministero dell’Interno, volto ad incrementare ed affinare gli strumenti di prevenzione e contrasto ai fenomeni illeciti perpetrati via mare e all’immigrazione clandestina”, scrive il generale Adinolfi. “Il programma prevede la dislocazione di 17 postazioni, grazie a risorse resesi disponibili dalle fonti del Programma Operativo Nazionale Sicurezza per lo Sviluppo Obiettivo Convergenza 2007-2013 e del Fondo per le Frontiere Esterne del Programma Quadro sulla Solidarietà e Gestione dei Flussi Migratori. Sette sono state già collocate a Lampedusa (Ag), Bovo Marina (Ag), Portulisse (Rg), Punta Stilo (Rc), Isola Capo Rizzuto (Kr), Arma di Taggia (Im) e Brancaleone (Rc – in corso di ultimazione). Quattro devono essere installati in siti da individuare nelle regioni Veneto, Marche, Abruzzo e nord della Puglia (vengono proposti in calce Chioggia (Ro), Monte Pedaso (An), Ancona zona portuale, Punta Penna (Pe), Vieste (Fg) - N.d.A.). Sei dovranno essere installate in Sardegna, Sicilia, sud della Puglia in siti diversi da quelli precedentemente individuati per problematiche insorte in sede locale”.
Il Capo di Stato maggiore della GdF lamenta poi come le “criticità emerse in fase d’installazione” dei radar siano riconducibili “a manifestazioni di protesta delle popolazioni locali le cui preoccupazioni, essenzialmente, connesse ai possibili effetti nocivi prodotti dalle onde elettromagnetiche, all’impatto ambientale e paesaggistico dei tralicci che, pur essendo infondate, hanno di fatto reso difficoltoso se non impedito in alcuni casi, la realizzazione delle opere”.
“Dette criticità sono acuite dalle conseguenze sul piano finanziario, in quanto le installazioni sono soggette ad una specifica tempistica di attuazione che se non rispettata può comportare, in tutto o in parte, il definanziamento. Tale rischio è stato evitato per i quattro radar destinati alla sorveglianza della Sardegna occidentale con i fondi che si renderanno disponibili nelle annualità future, mentre è avvertito per i due siti di Gagliano del Capo (Le) e Capo Murro di Porco (Sr), per i quali è stato richiesto al Ministero dell’Interno di ridefinire il termine ultimo per il collaudo e la certificazione della spesa, previsto inizialmente per il mese di marzo u.s. – al mese di dicembre 2011”.
Anche nel caso di questi due ultimi impianti, le fiamme gialle hanno preferito individuare sedi diverse all’interno di aree militari, dopo il pressing di ministri e viceministri preoccupati di risparmiare il proprio bacino elettorale dai bombardamenti elettromagnetici.
Per Capo Murro di Porco, la nota della GdF accenna ad “un’apposita riunione con le Autorità locali”, indetta dall’(ex) Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo (siracusana), nel corso della quale s’individuavano in prima battuta due possibili alternative, il vicino faro di Capo Murro di Porco in uso alla Capitaneria e il faro di Santa Panagia, sempre a Siracusa. La scelta definitiva, qualche mese dopo, è invece ricaduta sulla ex base di telecomunicazioni della Marina militare di Palombara, nei pressi dell’abitato di Melilli, una delle aree a più alto rischio ambientale del Mediterraneo.
“A seguito di una riunione presso al Prefettura di Lecce, alla presenza del Sottosegretario al Ministero dell’Interno, Alfredo Mantovano” (nativo di Lecce), veniva invece valutato di trasferire il radar di Gagliano del Capo a Santa Maria di Leuca (Le) presso la locale stazione della Marina militare. Il 10 giugno 2011, in particolare, “aveva luogo un sopralluogo al sito per verificare la compatibilità elettromagnetica dei sistemi forniti alla Guardia di finanza dalla Almaviva Italia Spa e di quelli ivi già in uso, installati dalla Selex Sistemi Integrati”.
Sempre secondo la nota del generale Adinolfi, i radar “sono di produzione dell’azienda israeliana Elta Systems LTD” e “sono commercializzati da AlmavivA Spa di Roma”, la società che ha ottenuto dalla GdF l’appalto milionario per la loro installazione, senza l’indizione e la pubblicazione del bando di gara con la motivazione che “i lavori e i servizi possono essere forniti unicamente da una determinata fornitrice, la AlmavivA SpA, che possiede le prescrizioni di natura tecnica e i diritti esclusivi dei materiali”. AlmavivA è una società controllata da un’originale mixer di azionisti: la famiglia Tripi, il Gruppo General Electric, la Rai - Radio Televisione Italiana, la Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana, la C.I.A. Confederazione Italiana Agricoltori e le Assicurazioni Generali. A differenza delle fiamme gialle, AlmavivA sembra ancora volersi costituire in giudizio davanti al TAR di Cagliari e ha presentato una relazione tecnica del professore Gaspare Galati (ordinario di Teoria e tecnica radar dell’Università di Tor Vergata, Roma), secondo cui le emissioni elettromagnetiche dei radar di Elta Systems sono quasi pari allo zero. Per la cronaca, il professore Gaspari Galati ha lavorato dal 1970 al 1986 presso la Direzione ricerche e il Servizio analisi di base e calcolo scientifico della società Selenia SpA (ora Alenia-Finmeccanica), “nella prima come analista-sistemista radar e poi come responsabile del reparto di Analisi dei Sistemi”. Negli stessi anni, Galati veniva pure designato “rappresentante italiano presso il gruppo di lavoro della NATO (NIAG)”.
“Le considerazioni depositate dalla società romana sono assolutamente contrastanti con i dati rilevati dall’ARPA Sardegna, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente,e dalle stesse precedenti relazioni prodotte da AlmavivA”, ricorda Graziano Bullegas di Italia Nostra. Intanto in Sardegna, Puglia e Sicilia ci si prepara per il secondo round della campagna NoRadar.

Articolo dell'Espresso su Quirra

Una distesa di crateri e carcasse metalliche, con un'elevata 
contaminazione
 da torio, un metallo pesante, radioattivo e altamente cancerogeno,
 che per anni
 veniva utilizzato nei sistemi di puntamento
Sardegna, la strage nascosta
di Paolo Biondani
Una serie impressionante di decessi per leucemie e tumori. Ma anche casi
 di malformazioni e altre malattie. Nel sud est dell'isola, dove nel poligono 
militare venivano testate armi anche radioattive. La Procura ha disposto la riesumazione di 18 salme e il sequestro di 160 cartelle cliniche. Sotto accusa 
tre generali. Ecco le foto dell'area
Poligono sperimentale. Basta tradurre il concetto per misurare l'assurdità:
 un territorio 
dove militari italiani, eserciti stranieri e perfino industrie private hanno potuto 
per decenni 
provare armi segrete, esplosivi, missili e ordigni micidiali. Un fronte interno, il teatro di 
guerra simulata più grande d'Europa, incredibilmente collocato tra spiagge, pascoli
 e paesi abitati della fascia sud-est della Sardegna. 


Qui, nei 130 chilometri quadrati di area off-limits del poligono sperimentale del Salto di Quirra,
 sono stati testati per cinquant'anni i più micidiali prototipi di nuove tecnologie belliche. Nessuno
 sa quali armi e quali sostanze siano state utilizzate: finora il segreto militare ha coperto
 gran parte delle attività. Di certo negli ultimi mesi un'inchiesta giudiziaria sta cercando di fa
r luce su una serie impressionante di decessi e malformazioni. Un anno fa un primo rapporto
aveva attestato che il 60 per cento dei pastori che condividevano i terreni del poligono con i militari 
sono morti o si sono ammalati di leucemia o tumori emolinfatici. Ora la procura competente di
 Lanusei ha ordinato la riesumazione della salme di 18 vittime e disposto accertamenti 
su un totale
di 160 cartelle cliniche di persone colpite da quella che molti cittadini qui ormai chiamano
 la «sindrome di Quirra». 

"L'Espresso" pubblica in esclusiva le prime immagini della «zona brillamenti», l'area a
 più alto rischio di contaminazione: ettari di terra devastata da sistematiche esplosioni di
 tonnellate di materiale bellico da smaltire al riparo da sguardi indiscreti. 

Una distesa di crateri e carcasse metalliche che, come aveva anticipato una nostra inchiesta
è stata utilizzata per anni come una specie di discarica di guerra. Le consulenze tecniche fatte
 eseguire dalla magistratura ora documentano, tra l'altro, un'elevata contaminazione da torio, 
un metallo pesante, radioattivo e altamente cancerogeno, che per anni veniva utilizzato
 nei sistemi di puntamento. 

In tutta la zona si registrano gravissime malformazioni anche negli animali: 
agnelli con due teste, vitelli con zampe deformi e altri orrori. 
Sulla scia degli studi dei fisici e dei veterinari che per primi lanciarono l'allarme,
 ora gli inquirenti hanno riaperto anche il caso dei 14 bambini nati nel 1988 con 
gravi malformazioni a Escalaplano, uno dei comuni confinanti con il poligono. 
Nei giorni scorsi il procuratore Domenico Fiordalisi ha chiuso la prima fase delle 
indagini, quella che riguarda le mancate misure di prevenzione dei danni alla
 salute della popolazione e la presunta manipolazione dei dati sul reale livello di 
inquinamentoprodotto da oltre mezzo secolo di sperimentazioni ed esercitazioni 
belliche di fatto incontrollate: erano infatti gli stessi utilizzatori del poligono, cioè 
gli eserciti 
anche stranieri e le industrie private che venivano autorizzate ad affittare la 
struttura,
 ad auto-certificare la regolarità delle operazioni. 
Sotto accusa, in particolare, sono finiti tre generali che negli ultimi anni si sono
 avvicendati al comando del poligono, con esclusione dell'attuale responsabile,
 nominato di recente. 

Dopo sei mesi di sequestro giudiziario dell'intero poligono, nel settembre scorso
 il ministero della Difesa si è formalmente impegnato a mettere in sicurezza le 
strutture, impermeabilizzare i terreni e a bonificare l'area. In cambio la procura 
ha concesso il dissequestro, restituendo il poligono al controllo delle forze armate.
 Tra ministero e magistratura continua però un silenzioso braccio di ferro attorno
 al pieno ed effettivo rispetto delle misure imposte con l'ordinanza di sequestro,
 a cominciare dalla recinzione completa delle zone con i più alti valori d
i contaminazione.

Ultimate le indagini ambientali, la procura di Lanusei conta di chiudere entro
 la primavera prossima anche il capitolo più delicato dell'inchiesta: il rapporto 
tra le operazioni militari e l'abnorme numero di casi di tumori e malformazioni 
denunciati da comitati di cittadini, parenti di allevatori, militari e loro familiari.
 Da almeno dieci anni gruppi locali e associazioni nazionali segnalavano 
inutilmente decine e decine di morti sospette. E dal settembre scorso,
sull'esempio della madri dei desaparecidos argentini di Plaza de Mayo, 
ogni 15 del mese alcuni di questi gruppi si ritrovano in Piazza del Carmine
 a Cagliari in un sit-in per chiedere verità e giustizia.

Quirra, il poligono della morte
Le immagini pubblicate dall'Espresso fanno parte dell'archivio di documenti, 
materiali video e testimonianze raccolte dai giornalisti Carlo Porcedda e 
Maddalena Brunetti per il libro-inchiesta 'Lo sa il vento – Il male invisibile
 della Sardegna' (Edizioni Ambiente, collana Verdenero, con prefazione del 
musicista Paolo Fresu), dedicato al poligono di Quirra e alle altre emergenze 
ambientali, dalle industrie inquinanti alle miniere abbandonate, che affliggono 
l'isola: una regione che custodisce gli ultimi paradisi naturali del Mediterraneo.

Il missile della paura
Il missile modello Kormoran Due sganciato da un Tornado durante 
un'esercitazione dell'Areonautica della Repubblica federale tedesca,
 per colpire un rimorchiatore ancorato in mare come bersaglio
(20 aprile 2011)
In questo video, girato dal Poligono sperimentale interforze Salto di 
Quirra il 30 novembre 1988, si vede il missile modello Kormoran Due
 sganciato da un Tornado durante un'esercitazione dell'Areonautica
 della Repubblica federale tedesca, per colpire un rimorchiatore ancorato
 in mare come bersaglio.
Secondo la testimonianza del capitano Giancarlo Carrusci, operativo 
al poligono dal 1977 al 1992, il missile in questione conteneva uranio 
impoverito.

Sardegna, i sopralluoghi al poligono di Quirra
Sulla costa sud orientale della Sardegna, nel poligono di Salto di Quirra,
 per anni si sono verificate grandi esplosioni. Armi, bombe e munizioni 
obsolete venivano fatte brillare senza nessuna precauzione per la salvaguardia
 ambientale né per la salute umana. Ora il procuratore di Lanusei, Domenico 
Fiordalisi, ha aperto un'indagine. Ecco le immagini dei rilievi degli investigatori 
nel poligono

Quel poligono uccide
di Riccardo Bocca
Gigantesche esplosioni, colonne di fumo alte chilometri, nubi tossiche.
 E troppe morti sospette. In una struttura militare sulla costa sud orientale
 della Sardegna si sperimentano da decenni armi e materiali segreti.
 E ora la Procura di Lanusei indaga
(14 aprile 2011)

Quirra, c'è uranio impoverito
di Riccardo Bocca
Un agnello morto vicino al poligono sardo era contaminato.
 Lo rivela un rapporto dell'università che l'ha analizzato. 
Adesso è ora che emerga la verità su questa base militare 
dove da decenni si sperimentano armi segrete

venerdì 23 dicembre 2011

CIAO ZARMU!!!

Ieri il nostro amico e compagno Zarmu, a poco più di quarant'anni, se n'è andato.

Con lui abbiamo condiviso l'esperienza della lotta no radar, dalle prime assemblee, alla scoperta del radar di Capo Pecora, fino alle notti nei presidi.
Ci piace ricordarlo alla due giorni di Sant'Antioco, con il mestolo in mano che prepara la cena per tutti, con la sua calma determinazione, la sua voce profonda come il suo sguardo.

Il più bello, il più alto e con gli occhi più azzurri di tutti.

Ciao Ale
No radar!


Le amici e i compagne di Cagliari

Riflessione sugli ultimi aggiornamenti

«Si comunica che per motivi sopravvenuti, anche connessi alle manifestazioni di protesta delle popolazioni e all'intervenuta perdita nelle more del giudizio dei previsti finanziamenti - motivi sopravvenuti comunque del tutto indipendenti da valutazioni negative in ordine alla legittimità degli atti e dei provvedimenti posti in essere - le amministrazioni sono addivenute alla decisione, pur nella motivata fiducia che i ricorsi avrebbero dovuto essere dichiarati irricevibili, di non coltivare ulteriormente il disegno di installare l'apparato nel sito per cui è causa».
Con questo atto depositato alla cancelleria del tribunale amministrativo e trasmesso agli avvocati che seguono le cause davanti al TAR la GdF rinuncia all’installazione dei radar a Sant’Antioco e Tresnuraghes. Al momento non ho ancora notizie certe per Capo Pecora, ma ritengo seguirà lo stesso percorso. L’Argentiera dovrebbe seguire a ruota visto che anche lì c’è stata l’azione di disturbo delle “manifestazioni di protesta delle popolazioni”.

Vi allego il link per l’articolo della Nuova Sardegna.

La GdF si ritira probabilmente perché una nuova sentenza del TAR contro l'installazione dei radar, dopo quella di Lecce, avrebbe rimesso in discussione l'intera rete dei 17 radar della GdF. Meglio ritirarsi dai siti dove esiste la protesta per non correre questo rischio.

Si tratta di una indubbia vittoria delle comunità che si sono mobilitate e che dimostra quanto la lotta paghi.

Non dobbiamo però farci illusioni perché contemporaneamente a questa nota la stessa avvocatura informa che lo scorso Luglio la GdF ha chiesto  alla Marina Militare di poter ubicare i radar in altri siti militari visto che le proteste impediscono di piazzarli nei siti prescelti. A Questa nota la Marina Militare risponde garantendo la massima collaborazione.
I siti richiesti per la Sardegna sono quelli che più o meno sospettavamo, e cioè i fari della Guardia Costiera di Capo Sant'Elia, Capo Sandalo, Capo San Marco e Capo Caccia ad Alghero. Considerato che la maggior parte dei fari ospitano o dovranno ospitare i radar VTS, ci potrebbe essere una sovrapposizione.

Come stiamo sostenendo da mesi, qualsiasi sia il sito, l'impatto delle onde elettromagnetiche rimane lo stesso, anzi ... le onde emesse dal nuovo radar si sommano a quelle emesse dai radar già in funzione dove ci sono e si sommeranno a quelle dei radar VTS quando li piazzeranno.

Vorrei ricordare che nei giorni scorsi Almaviva si è costituita in giudizio davanti al TAR producendo una relazione tecnica che dimostra la non nocività dei radar della Elta System. Da questi documenti abbiamo anche appreso che alcuni radar sono già stati piazzati in Calabria (Brancaleone e Isola Capo Rizzuti) e che altri stanno per essere piazzati nel resto della penisola.
Appena possibile aggiorno e posto la nuova mappa d’Italia con i siti GdF.
In conclusione ritengo che sia stata vinta una battaglia che può dare speranza per il futuro, ma che non si debbano sottovalutare le nuove mosse di GdF e Stato. C’è ancora molto da fare e dobbiamo proseguire la battaglia e la mobilitazione aggiustando il tiro in base ai nuovi scenari che si sono aperti in questi giorni.

Fermati i radar sulle coste dell'isola: lo Stato sospende l'installazione di 15 impianti. Fermati i radar sulle coste dell'isola: lo Stato sospende l'installazione di 15 impianti Argentiera, Ischia Ruggia, Capo Pecora e Capo Sperone non subiranno il peso dei radar a difesa delle coste. La decisione è stata presa per tutelare l’ambiente dell’isola e il diritto dei cittadini alla salute

CAGLIARI. Hanno vinto Italia Nostra e i comitati no-radar: il ministero dell'Economia e il Comando generale della Guardia di Finanza rinunciano alla costruzione degli impianti nei siti di Argentiera, Capo Sperone, Capo Pecora e Ischia Ruggia individuati dal ministero delle Infrastrutture per monitorare il mare e prevenire sbarchi di clandestini sulle coste.

La decisione è stata comunicata dall'avvocato dello stato Giandomenico Tenaglia ai giudici del Tar, che il 25 gennaio avrebbero dovuto trattare in udienza pubblica i ricorsi presentati dall'associazione culturale e dal comune di Tresnuraghes: «Si comunica - è scritto nella memoria depositata alla cancelleria del tribunale amministrativo e trasmessa alle parti in causa - che per motivi sopravvenuti, anche connessi alle manifestazioni di protesta delle popolazioni e all'intervenuta perdita nelle more del giudizio dei previsti finanziamenti (cinque milioni e 461 mila euro, ndr) - motivi sopravvenuti comunque del tutto indipendenti da valutazioni negative in ordine alla legittimità degli atti e dei provvedimenti posti in essere - le amministrazioni sono addivenute alla decisione, pur nella motivata fiducia che i ricorsi avrebbero dovuto essere dichiarati irricevibili, di non coltivare ulteriormente il disegno di installare l'apparato nel sito per cui è causa». 


La nota è riferita a quello di Tresnuraghes (per Ischia Ruggia) ma è riferita anche agli altri tre (Sant'Antioco per Capo Sperone, Fluminimaggiore per Capo Pecora e Sassari per l'Argentiera) più gli undici previst
i dalla Guardia Costiera. Alcuni radar verranno comunque installati perché ritenuti indispensabili, considerata la situazione politica nei paesi del nord Africa. I nuovi siti saranno concordati con la Regione e i comuni interessati. In un documento della Guardia di Finanza si avanzano le proposte per i quattro radar principali, tutte in aree militari: Capo Caccia ad Alghero, Capo San Marco a Oristano, Capo Sandalo nell'isola di San Pietro e Capo Sant'Elia a Cagliari. 


Comunque un orientamento finalmente ragionevole, cui il governo e la Guardia di Finanza sono stati costretti dalle azioni legali e dalla mobilitazione straordinaria e appassionata delle associazioni ambientaliste, degli indipendentisti e dei cittadini impegnati nella difesa delle coste dove le Fiamme Gialle contavano di piazzare impianti di rilevamento che avrebbero deturpato il paesaggio naturale. Una difesa che i giudici del Tar hanno mostrato di condividere, malgrado le speranze espresse dall'Avvocatura dello Stato. Perchè prima un decreto firmato dal presidente del tribunale amministrativo Aldo Ravalli alla fine della scorsa estate e subito dopo la decisione depositata dalla prima sezione - presidente lo stesso Ravalli, consiglieri Alessandro Maggio e Gianluca Rovelli - avevano sospeso i lavori di costruzione dei radar destinati a proteggere le frontiere dai clandestini. 


Significative le motivazioni della decisione cautelare: «L'ambiente - è scritto nelle ordinanze - va protetto contro ogni iniziativa ostile da chiunque essa provenga» e «l'interesse nazionale perseguito con la realizzazione dell'opera pubblica (i radar, ndr) cede di fronte al superiore interesse pubblico costituito dalla tutela della salute». Una tutela che - scrive ancora il Tar - nell'ordinamento italiano «è pacificamente intesa come diritto soggettivo della persona e come interesse della collettività ad un ambiente salubre». E siccome «è del tutto evidente che la salute può subire nocumento dalla degradazione dell'ambiente» è giustificato il divieto di installare gli impianti. Peraltro «lo stesso legislatore - è scritto nelle ordinanze - da tempo ha sottolineato il nesso tra salute e condizioni ambientali». E più avanti: «Il legame del diritto all'ambiente salubre con la tutela della salute attribuisce a tale tutela il valore dell'assolutezza, ciò significa che va protetto contro ogni iniziativa ostile da chiunque esso provenga e con la conseguenza che esso ha anche una valenza incondizionata». 


Un obbligo che i giudici del Tar estendono anche ai casi - viene in mente Quirra - in cui la nocività per la salute di installazioni militari o altri strumenti non è ancora del tutto dimostrata dalla scienza: «La tutela deve ritenersi ampliata fino a comprendere le ipotesi in cui i rilievi scientifici non hanno raggiunto una chiara prova di nocività a lungo termine, per cui occorre applicare il principio di minimizzazione che costituisce il corollario del principio di precauzione di derivazione comunitaria».


All'udienza di gennaio il tribunale dichiarerà l'improcedibilità dei ricorsi per «cessazione della materia del contendere». Una vittoria piena per chi difende l'ambiente e il paesaggio.


da La Nuova Sardegna

martedì 20 dicembre 2011

Strategie di contro-insurrezione


Complessa operazione aerea di tre UAV (aerei senza pilota) in Piemonte
Il 30 settembre scorso si è svolta la dimostrazione finale del progetto SMAT (Sistema di Monitoraggio Avanzato del Territorio) FASE1 che ha visto, tra Cuneo-Levaldigi, Benevagienna e Torino, tre diversi UAV operare contemporaneamente e in modo integrato nello spazio aereo civile italiano, in missione di monitoraggio del terreno, decollando ed atterrando su un aereoporto civile. Per la prima volta in italia, l’ENAV e l’ENAC hanno concesso il permesso di volo da e su un’area civile.
Il progetto  SMAT FASE 1, a quanto dicono, ha lo scopo di studiare, sviluppare e testare un sistema complesso di sorveglianza del territorio e supporto delle operazioni a terra per la prevenzione delle catastrofi naturali, la gestione dell’emergenza e la protezione del territorio.
Fondamentale l’integrazione e il coordinamento in tempo reale dei sistemi aerei con le autorità e gli enti locali preposti (Protezione civile, Questura, Prefettura ). Il progetto SMAT FASE 1, cofinanziato dalla regione Piemonte con il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) è stato sviluppato dall’Associazione Temporanea di Scopo (ATS) costituita da Alenia Aereonautica, Selex Galileo, Altec, Politecnico di Torino, UNITO, Istituto Mario Boella e una serie di PMI piemontesi: Auconel, Axis, Blue engeneering, Digisky, Envisens e altri.

da http://romperelerighe.noblogs.org/

lunedì 19 dicembre 2011

RADAR A CAPO TESTA, SARA' SCONTRO DURO ALL'INCONTRO PUBBLICO [LA NUOVA SARDEGNA, 15 DICEMBRE 2011]


 
 
SANTA TERESA. Il consiglio comunale trasloca per una sera alla stazione marittima. Convocata per il 23 dicembre un'assemblea pubblica a cui parteciperanno maggioranza e opposizioni e a cui sono invitati i cittadini. Unico punto in discussione l'installazione del radar a Capo Testa. Un tema delicato che divide. La giunta guidata dal sindaco Stefano Pisciottu prenderà una posizione ufficiale solo dopo aver discusso con la comunità. Il primo cittadino ha più volte dichiarato il suo no alla sentinella bionica sul faro di Capo Testa. Il capogruppo di maggioranza, Angelo Murineddu, chiede di capire, discutere, acquisire informazioni prima di prendere una decisione. «Prima di tutto vengono la salute e l'ambiente - spiega -. Ma bisogna anche stabilire come tutelarli. Pensiamo a cosa potrebbe succedere se una petroliera si schiantasse sulle scogliere di Capo Testa. Per il nostro territorio sarebbe la fine. Per ora è impossibile impedire alle navi di attraversare le Bocche di Bonifacio senza carichi pericolosi. Dobbiamo quindi chiederci se possiamo ancora affidarci al buon Dio per proteggerci dagli incidenti o dobbiamo pensare di sfruttare la tecnologia per prevenire i danni. Curare non è sempre possibile. A volte è meglio la prevenzione». Parole che non sono un sì di Murineddu al radar, ma un invito alla riflessione. «La nostra posizione è un no a qualsiasi proposta di monitoraggio che causi danni alla salute - aggiunge il capogruppo -. Ma insieme alle istituzioni e alla comunità dobbiamo cercare un modo per tutelare salute e ambiente. Dobbiamo affrontare questo tema con un approccio sereno, senza preconcetti, valutando rischi e vantaggi». Dalla consigliere di opposizione, Lina Crobu, arriva invece un no senza se e senza ma al radar. «La sorveglianza sulle Bocche non elimina il problema del transito di cargo con merci pericolose nelle Bocche - dichiara Crobu -. Per quanto mi riguarda mi opporrò all'apertura di qualsiasi trattativa sul radar. Capo Testa è un punto di straordinaria bellezza e va preservato. È il simbolo del paese e della nostra identità. E per quanto riguarda la salute non accetterò che venga installato uno strumento che può causare danni con le emissioni elettromagnetiche».

lunedì 12 dicembre 2011

No Tav - Comunicato sulla giornata dell'8 dicembre 2011


fonte: notav.info

Il movimento no tav ha voluto ricordare la liberazione di Venaus con una giornata straordinaria di lotta. Da una parte l’accerchiamento alle reti e dall’altra il blocco autostradale della A32 andato avanti per ben 14 ore. Oggi, come ogni volta, i giornali riportano quasi unicamente le versioni della questura inerenti ai gravi incidenti avvenuti introno alle reti; ma come sempre la verità è un’altra:

 - Contiamo decine e decine di feriti chi con lesioni in viso, chi su altre parti del corpo. Due particolarmente gravi, sia per le ferite che per le modalità dell’aggressione. Un ragazzo di 16 anni abitante a Venaus mentre stava cercando di estinguere un incendio causato dai bossoli roventi dei lacrimogeni, è stato colpito alla tempia da un candelotto subendo un grave trauma cranico e un’importante lesione all’occhio. Vergognoso il comportamento di alcuni agenti che, nonostante la gravità della situazione, non hanno ritenuto opportuno chiamare i mezzi di soccorso; solo dopo 30 minuti  la situazione si è sbloccata e l’ambulanza è potuta intervenire portando il giovane presso il CTO di Torino dov’è stato trattenuto in osservazione.
L’altro ferito grave è un operaio cinquantenne di Padova, anch’esso colpito da un candelotto lacrimogeno in pieno viso. I medici delle Molinette, hanno dovuto compiere questa mattina una delicata operazione tentando ti riattaccare la retina e asportarne i cristallini frantumati. I chirurghi che hanno compiuto l’operazione sono titubanti sul fatto che l’occhio si possa salvare mentre è certo che il recupero totale della vista non potrà più avvenire. Molti altri feriti sono stati causati dal lancio di enormi pietre tirate dalle forze dell’ordine stesse; per fortuna questa volta alcuni operatori del Tg3 nazionale, bersagli anche loro prima di lacrimogeni e poi di pietre, hanno trasmesso le immagini in tutta Italia.
Ai feriti più o meno gravi va chiaramente tutta la nostra solidarietà e il nostro sostegno.

- Dopo lo sgombero della baita/presidio (durato solo la notte di ieri: oggi la baita è di nuovo saldamente nelle mani del movimento) c’è stato un altro episodio inqualificabile: le forze dell’ordine sono entrate nella costruzione rovesciando una stufa ancora accesa,  svuotando le pentole con il cibo sul pavimento, distruggendo piatti e suppellettili e in seguito, come se non bastasse, hanno fatto arrivare un camion caricandolo di zaini, giacche e qualunque cosa potesse avere valore, compreso un generatore elettrico, alcuni telefonini, attrezzi per tagliare la legna e per la manutenzione del presidio come accette, seghe, falcetti, tenaglie ecc.

 - Continua l’abitudine di rilasciare fogli di via senza nessun motivo: ieri in 6 sono stati colpiti da questo assurdo provvedimento con il divieto di poter andare nei comuni dell’alta valle e ad Avigliana per 3 anni. Nelle macchine di queste “pericolose” persone sono stati rinvenuti una punta da trapano e alcuni kaway.

 -  Infine ancora oggi un brutto episodio di prepotenza da parte delle forze dell’ordine: un lavoratore di una cooperativa sociale della Valle è stato fermato mentre stava raggiungendo l’ecocentro di San Giorio che doveva essere aperto al pubblico. La cooperativa si occupa, tra le altre cose, anche di giardinaggio e sul furgoncino usato dall’addetto erano presenti alcuni attrezzi di lavoro (falcetti, piccoli coltellini, vestiti di ricambio…). La polizia ha pensato bene di sequestrare il materiale tenendo il malcapitato fermo due ore e facendo così ritardare l’apertura dell’ecocentro creando così un danno non indifferente alla cooperativa.

Dal 27 giugno, giorno dello sgombero della Maddalena, abbiamo promesso che continueremo a organizzare iniziative concrete di lotta fino a quando quelle reti non cadranno con il loro contenuto di distruzione. Oggi, rafforzati dalla mobilitazione di questi giorni, ribadiamo ancora più forte che non faremo un passo indietro!



Comitato no tav spinta dal bass – spazio sociale libertario takuma

Articoli di A.Mazzeo sul MUOS

Incubo MUOS per l’aeroporto di Comiso

Le microonde del MUOS, il nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari dei militari USA in via d’installazione a Niscemi, interdiranno l’uso dell’aeroporto di Comiso e di buona parte dello spazio aereo siciliano. Alla vigilia del tavolo di lavoro inter-istituzionale che dovrà fissare l’ennesima data di apertura dello scalo ragusano, lo studio dei rischi associati alla realizzazione del MUOS a firma dei professori Massimo Zucchetti e Massimo Coraddu del Politecnico di Torino, prefigura interferenze elettromagnetiche incompatibili con il regolare traffico aereo in buona parte della Sicilia orientale. Le mega-antenne per le future guerre degli Stati Uniti d’America rischiano così di contribuire a creare l’ennesima cattedrale nel deserto. Un’opera che è già costata più di 50 milioni di euro e che adesso potrà fare in Sicilia da monumento della cieca e folle obbedienza agli interessi di supremazia planetaria dei padri-padroni d’oltre oceano.
“Le considerazioni sulla compatibilità elettromagnetica (CEM), contenute anche negli studi di impatto prodotti dall’US Navy, indicano come livello di riferimento per il rischio di interferenza elettromagnetica a RF quello di un campo con una componente elettrica di ~ 1V/m”, spiegano gli studiosi del Politecnico di Torino. Alcuni apparecchi commerciali accusano interferenze e malfunzionamenti in presenza di emissioni elettromagnetiche di alta frequenza già per livelli di campo di 1 V/m. Risultano poi particolarmente vulnerabili a questo tipo di disturbi alcune categorie di dispositivi elettronici, come gli apparecchi elettromedicali (pacemaker, defibrillatori, apparecchi acustici) e la strumentazione avionica, tanto da richiedere particolari cautele nel loro utilizzo”.
Nonostante i dati sulle caratteristiche tecniche dei trasmettitori MUOS siano del tutto carenti e i militari USA si sono guardati bene dal fornire le dovute informazione sul tipo dei segnali inviati, i professori Zucchetti e Coraddu hanno potuto accertare che, in condizioni normali di funzionamento, il fascio di microonde delle parabole viene emesso “con un angolo di elevazione minima, rispetto all’orizzonte, pari a soli 17°” e quindi, a 30 Km di distanza, esso “verrebbe a trovarsi a soli 10.000 metri dal suolo, con un’intensità pari a circa 2 W/m2 (~27 V/m)”. Una densità di potenza enorme che, secondo i due esperti, “è senz’altro in grado di provocare gravi interferenze nella strumentazione di bordo di un aeromobile che dovesse essere investito accidentalmente dal fascio, con conseguenti malfunzionamenti e rischi di incidente”.
Per Zucchetti e Coraddu, gli incidenti provocati dall’irraggiamento accidentale di aeromobili “distanti anche decine di Km.” sono eventualità tutt’altro che “remote e trascurabili” ed è incomprensibile come non siano state prese in considerazione dagli studi progettuali della Marina militare USA. “I rischi d’interferenza investono potenzialmente tutto il traffico aereo della zona circostante il sito d’installazione del MUOS. Nel raggio di 70 Km si trovano ben tre scali aerei: Comiso (di prossima apertura) a poco più di 19 Km dalla stazione di Niscemi, e gli aeroporti militare di Sigonella e civile di Fontanarossa (Catania), che si trovano rispettivamente a 52 Km e a 67 Km”. Sigonella e Fontanarossa, tra l’altro, sono oggetto delle spericolate operazioni di atterraggio e decollo dei velivoli da guerra senza pilota UAV “Global Hawk”, “Predator” e “Reaper”.   
Per gli studiosi del Politecnico, l’“irraggiamento accidentale, a distanza ravvicinata, di un aereo militare” potrebbe avere conseguenze inimmaginabili. “Le interferenze generate dalle antenne del MUOS possono arrivare infatti a innescare accidentalmente gli ordigni trasportati”, affermano. “È quanto accaduto il 29 luglio 1967 nel Golfo del Tonchino a bordo della portaerei US Forrestal, quando le radiazioni emesse dal radar di bordo detonarono un missile in dotazione ad un caccia F-14, causando una violenta esplosione e la morte di 134 militari. Tali considerazioni dovrebbero portare a interdire cautelativamente vaste aree dello spazio aereo sovrastanti l’installazione del MUOS, aree che andrebbero individuate e segnalate preventivamente”.
I rilievi sull’insostenibile pericolo per il traffico aereo del nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari sono noti ai tecnici della Marina USA perlomeno da sei anni, al punto di convincerli a dirottare a Niscemi il terminale terrestre che in un primo momento doveva essere installato nella stazione aeronavale di Sigonella. A imporre la differente destinazione finale del MUOS sono state le risultanze di uno studio sull’impatto delle onde elettromagnetiche generate dalle grandi antenne (Sicily RADHAZ Radio and Radar Radiation Hazards Model), eseguito da due aziende contractor USA, AGI - Analytical Graphics Inc. (con sede a Exton, Pennsylvania) e Maxim Systems (San Diego, California). Nello specifico, è stato elaborato un modello di verifica dei rischi di irradiazione sui sistemi d’armi, munizioni, propellenti ed esplosivi (il cosiddetto HERO - Hazards of Electromagnetic to Ordnance), ospitati nella grande base aeronavale siciliana. Secondo quanto si può leggere nei manuali di prevenzione incidenti adottati dalla Marina USA, “un alto livello di energia elettromagnetica prodotta dalla RFR (Radio Frequency Radiation) può provocare anche correnti o voltaggi elettrici che possono causare l’attivazione di derivazioni elettro-esplosive ed archi elettrici che detonano materiali infiammabili”. Appurato che le fortissime emissioni elettromagnetiche del MUOS possono avviare la detonazione degli ordigni di Sigonella, AGI e Maxim Systems raccomandarono i militari statunitensi di “non installare i trasmettitori in prossimità di velivoli dotati di armamento”. Da qui la scelta di Niscemi.
L’incompatibilità del terminale MUOS con il traffico aereo nello scalo di Comiso era stata denunciata in passato dalla Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella, dal Comitato No MUOS e da alcuni amministratori locali. Il 14 dicembre 2009, a conclusione di una riunione dei sindaci dei Comuni di Butera, Caltagirone, Niscemi, San Michele di Ganzaria e Vittoria, fu emesso un comunicato che segnalava come “l’aeroporto civile di Comiso potrebbe essere costretto alla chiusura per le interferenze elettromagnetiche dell’impianto radar che gli americani intendono realizzare in contrada Ulmo, all’interno della riserva naturale “Sughereta”, sito d’importanza comunitaria SIC”. Denuncie che furono costantemente ignorate dalle autorità regionali, dagli enti preposti alla sicurezza del traffico aereo e dalla SO.A.CO., la società di gestione dell’aeroporto comisana, controllata al 65% da Intersac Holding Spa (azionisti SAC - Aeroporto di Catania, Interbanca e l’imprenditore-editore Mario Ciancio) e per il restante 35% dal Comune di Comiso (l’unico a non esprimersi sino ad oggi contro l’installazione del sistema satellitare).
Sino alla fine e degli anni ’80, Comiso ha ospitato una delle più importanti basi missilistiche nucleari in Europa: quella del 478th Tactical Missile Wing dell’US Air Force, dotato di 112 missili Cruise a medio raggio e di altrettante testate atomiche del tipo W.84 a basso potenziale selezionabile. A seguito del trattato sulle forze nucleari a medio raggio (INF), firmato l’8 dicembre del 1987 dai presidenti di USA e URSS, i Cruise furono progressivamente smantellati e i militari statunitensi abbandonarono la base nel 1991 dopo la fine della prima Guerra del Golfo. Nonostante l’esistenza di un gran numero di edifici ed abitazioni realizzati con fondi NATO (si parlò al tempo di una spesa non inferiore ai 350 miliardi di lire), l’infrastruttura fu del tutto abbandonata per diversi anni, tranne il breve utilizzo nel 1999 per accogliere 5.000 profughi del Kosovo, vicenda che ebbe un epilogo nelle aule giudiziarie per i presunti illeciti nella gestione dell’emergenza “Arcobaleno”. Furono presentati alcuni interessanti progetti di riconversione da parte di istituzioni universitarie, associazioni e soggetti sociali, in buona parte dai costi prossimi allo zero, ma alla fine si decise di puntare alla realizzazione di uno scalo civile passeggeri e merci, senza però valutare la reale domanda di traffico, i futuri costi di gestione e i possibili impatto socio-ambientali. Dopo il pressing a tutto campo della deputazione locale, con delibera del CIPE del 3 maggio 2002 fu approvata la spesa di 47.407.976 euro per realizzare una pista di atterraggio, la torre di controllo e le relative attrezzature di volo, le aree passeggeri e i parcheggi. I lavori iniziarono nell’ottobre 2004 e, seguendo il copione delle grandi opere nazionali, si prolungarono all’infinito. L’inaugurazione del nuovo aeroporto di Comiso è stata promessa ad ogni campagna elettorale: è stata fissata una prima volta per l’autunno del 2006, poi per il 2007, il 2008, il 2009, il 2010, fino all’impegno dell’ex ministro Matteoli di rendere operativo lo scalo entro l’estate 2011. La struttura è stata però consegnata al sindaco di Comiso solo lo scorso 7 novembre 2011, mentre si attende ancora dall’Aeronautica militare l’assegnazione degli spazi aerei e l’approntamento del piano di avvicinamento allo scalo degli aeromobili tramite il centro di controllo esistente nella base militare di Sigonella (lo stesso che dirige il traffico a Catania-Fontanarossa).
Il soggetto gestore è ancora in attesa della certificazione da parte dell’Enac, indispensabile per l’avvio delle attività aeroportuali, mentre prosegue senza soste il flusso di denaro per lo start-up dell’aeroporto fantasma. Nel dicembre 2010, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha firmato un decreto con il quale lo Stato si assume le spese del servizio di assistenza al volo e dei Vigili del Fuoco per i primi tre anni di operatività (circa quattro milioni e mezzo l’anno). Inoltre sarebbero stati messi a disposizione i fondi previsti dalla legge n.102/2009, poco più di tre milioni di euro, per l’adeguamento delle infrastrutture della torre di controllo agli standard Enav. Sempre a “supporto della attività” dell’aeroporto di Comiso, la Regione Siciliana ha destinato con due recenti decreti (27 settembre e 12 ottobre 2011) la somma complessiva di 4,5 milioni di euro. Adesso, con l’entrata in funzione delle antenne del MUOStro di Niscemi, potrebbero tramontare le ultime speranze di vedere decollare un aereo dal multimilionario scalo ragusano.

Il NO del Politecnico di Torino al MUOStro di Niscemi

La stazione di telecomunicazioni MUOS (Mobile User Objective System) comporta gravi rischi per la popolazione e per l’ambiente tali da impedirne la realizzazione in aree densamente popolate, come quella adiacente la cittadina di Niscemi (Caltanissetta). Ad affermarlo sono Massimo Zucchetti, professore ordinario di Impianti Nucleari del Politecnico di Torino e research affiliate del Massachusetts Institute of Technology (USA) e Massimo Coraddu, consulente esterno del dipartimento di Energetica del Politecnico ed ex ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).
I due studiosi hanno analizzato i possibili rischi per la salute della popolazione dovuti all’irraggiamento diretto del nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari della Marina militare USA, e i danni che le emissioni possono provocare all’ambiente circostante. I risultati, estremamente inquietanti, sono contenuti in un report consegnato qualche giorno fa all’amministrazione comunale di Niscemi. Il sindaco, Giovanni Di Martino, lo ha immediatamente inviato al presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, chiedendogli di sospendere l’autorizzazione concessa per installare il terminale MUOS all’interno della zona naturalistica protetta “Sughereta di Niscemi”, inserita nella rete Natura 2000 come sito di interesse comunitario (SIC ITA05007). La Regione aveva autorizzato i lavori l’1 giugno scorso, basandosi su una sommaria certificazione della sostenibilità ambientale del MUOS da parte della facoltà d’Ingegneria dell’Università di Palermo. Ma per il Politecnico di Torino, i rischi delle antenne satellitari “sono stati sottovalutati, o del tutto ignorati” dai docenti siciliani (gli ingegneri Luigi Zanforlin e Patrizia Livreri) e dagli “esperti” nominati dalle forze armate statunitensi.
Secondo i dati tecnici forniti dalle autorità militari, il sistema di telecomunicazione MUOS consiste in tre grandi antenne paraboliche (due continuativamente funzionanti e una di riserva) per le trasmissioni in banda Ka verso i satelliti geostazionari, più due trasmettitori elicoidali in banda UHF, per il posizionamento geografico. Le antenne paraboliche di 18,4 metri di diametro hanno frequenze di trasmissione di 30-31 GHz e 20-21 GHz di ricezione; la potenza è di 1600 W, mentre l’altezza del centro radiante rispetto al suolo è di 11,2 metri. Le frequenze di trasmissione e ricezione delle antenne elicoidali (4 metri di lunghezza e 33 cm di diametro) vanno da i 240 ai 315 MHz, la potenza è di 105 W, mentre l’altezza del centro radiante è di 3,7 metri. “Si tratta di informazioni assai carenti”, affermano gli studiosi del Politecnico. “In nessuna delle relazioni note sono indicati per le due tipologie di antenne il tipo di trasmissione (se a onda continua o impulsata e l’eventuale forma dell’impulso). Nel caso delle grandi antenne paraboliche non è poi indicato il diagramma polare completo, con esatta localizzazione dei lobi”.
“Incompleti e affetti da innumerevoli incongruenze” sono pure i dati relativi alle emissioni del sistema MUOS e quelli riferiti ai rischi associati all’eventuale realizzazione della stazione di trasmissione. Nel loro studio, i professori Zucchetti e Coraddu segnalano che nel caso dei trasmettitori con antenna parabolica, “la maggior parte dell’energia radiante emessa è concentrata in uno stretto fascio principale, con un’apertura angolare di qualche decimo di grado, che in condizioni normali di funzionamento è puntato verso il cielo con una inclinazione minima rispetto all’orizzonte di soli 17°”. Date le caratteristiche di questi sistemi, il “limite di attenzione” per le esposizioni prolungate deve essere calcolato in un raggio di 132,5 Km dai trasmettitori, mentre il “limite del valore per la compatibilità elettromagnetica” raggiunge gli 814,3 Km. di distanza.
Nel caso di emissioni al di fuori del fascio principale, il limite per le “esposizioni prolungate” è di 1,13 km, mentre quello del “valore per la compatibilità EM” è di 6,9 km. L’abitato di Niscemi si trova però a distanze comprese tra 1 e 6 Km rispetto le parabole del MUOS e dunque interamente nella zona di campo vicino delle antenne. “La realizzazione del MUOS potrebbe portare dunque a un incremento medio dell’intensità del campo in prossimità delle abitazioni più vicine pari a qualche V/m rispetto al livello esistente, con la possibilità del verificarsi di punti caldi, con un incremento del campo nettamente superiore”, scrivono i due ricercatori.
In conseguenza sono assai gravi i rischi per la salute umana generati dalle microonde delle antenne. “Si tratta di effetti acuti, legati a esposizioni brevi, a campi di elevata intensità; e di effetti dovuti a esposizioni prolungate a campi di intensità inferiore”, spiegano Zucchetti e Coraddu. “I primi sono essenzialmente legati all’esposizione diretta al fascio principale emesso dalle parabole MUOS, che può avvenire in seguito a un malfunzionamento o a un errore di puntamento. Ciò può provocare danni gravi e permanenti alle persone accidentalmente esposte a distanze inferiori ai 20 Km., e ciò significa che l’eventualità di una esposizione diretta al fascio riguarda l’intera popolazione di Niscemi e va considerata come il peggiore incidente possibile”. I danni più frequentemente riportati sono dovuti all’ipertermia con conseguente necrosi dei tessuti e l’organo più esposto è l’occhio (cataratta indotta da esposizione a radiofrequenze o a microonde). “Le persone irraggiate accidentalmente potrebbero subire danni gravi e irreversibili anche per brevi esposizioni”, aggiungono gli studiosi.
Per il Politecnico di Torino, la realizzazione del sistema MUOS “incrementerà necessariamente le emissioni esistenti” a Niscemi. “Nel valutare gli effetti dovuti a esposizioni prolungate occorre tener conto che l’abitato già ora è investito dalle emissioni prodotte dalla stazione Naval Radio Transmitter Facility (NRTF), in una misura superiore ai limiti di sicurezza previsti dalla legislazione italiana”. Il sito prescelto per il terminale terrestre del nuovo sistema satellitare si trova infatti all’interno di uno dei maggiori centri di telecomunicazioni della US Navy nel Mediterraneo, attivo da più di vent’anni e caratterizzato da intenso elettromagnetismo. Nella stazione sorgono 41 antenne radiatori verticali, 27 delle quali attualmente in funzione, operanti nella banda HF (High Frequency, frequenza 3-30 MHz e lunghezza d’onda 10-100 mt), per le comunicazioni di superficie; più un’antenna in banda LF (Low Frequency, frequenza 43 KHz e lunghezza d’onda di 6,98 Km), per le comunicazioni sotto la superficie del mare. “Le rilevazioni delle emissioni elettromagnetiche generate dalla stazione NRTF – scrivono Zucchetti e Coraddu - effettuate dall’ARPA Sicilia con strumentazione e procedure non del tutto adeguate, in un periodo compreso tra il dicembre 2008 e l’aprile 2010, hanno evidenziato un sicuro raggiungimento dei limiti di sicurezza per la popolazione ed anzi un loro probabile superamento”.
Per gli studiosi, la situazione reale delle emissioni elettromagnetiche sarebbe ancora peggiore di quella evidenziata dall’agenzia siciliana per la protezione dell’ambiente. “I misuratori utilizzati dall’ARPA (centraline PMM 8055S, banda passante 100 Khz - 3 GHz in modalità Wide Band, 100 KHz-860 MHz in modalità Low Band) non sono sensibili alle emissioni dell’antenna in banda LF alla frequenza di 43 Khz (quasi 7 Km di lunghezza d’onda)”, scrivono Zucchetti e Coraddu. “La potenza di picco del trasmettitore VERDIN (VLF Digital Information Network per le comunicazioni con i sommergibili in immersione) dell’NRTF di Niscemi, può variare infatti da 500 a 2000 KW. Valori estremamente elevati che non consentono certo di trascurare o sottostimare sistematicamente questa componente nella valutazione complessiva.
Sempre secondo i due ricercatori, le misurazioni dell’agenzia siciliana per l’ambiente non sarebbero state “neppure del tutto conformi” alla procedura prevista dalla legislazione che prevede di effettuare le rilevazioni quando tutte le sorgenti siano in funzione alla potenza massima. Ciò non è stato possibile a Niscemi dato che quasi la metà delle antenne, come ammesso dalle autorità militari USA, erano spente al momento delle rilevazioni.
“L’incremento del livello di campo emesso nella stazione NRTF con l’entrata in funzione dei trasmettitori del MUOS avrà come conseguenza un incremento di rischio, per la popolazione residente nella zona, di contrarre vari tipi di disturbi e malattie, tra cui alcuni tumori del sistema emolinfatico, come evidenziato in numerosi studi epidemiologici”, affermano Zucchetti e Coraddu. A ciò si aggiungeranno tutta una serie di effetti negativi sull’ambiente circostante, del tutto trascurati dalle valutazioni della facoltà d’Ingegneria di Palermo e dai tecnici statunitensi. “La stazione del sistema satellitare è stata progettata all’interno di un’area protetta e occorre quindi valutare le conseguenze dell’irraggiamento sulle specie tutelate. Si può evidenziare un rischio elevato per l’esposizione degli uccelli al fascio principale emesso dalle antenne paraboliche, che può risultare anche fatale, in quanto essi hanno una maggiore vulnerabilità agli effetti acuti delle microonde rispetto agli esseri umani”. Altri esseri viventi fortemente vulnerabili alle microonde sono gli insetti impollinatori, le api in particolare, che vengono disturbate da livelli di campo dell’ordine di -1 V/m. “I disturbi indotti dalle microonde impediscono alle api di sciamare regolarmente e costruire il nido, portando così a una grave riduzione della popolazione, con ripercussioni a catena sulla flora e sull’intera catena alimentare”, scrivono i due ricercatori.
“Per un principio di salvaguardia della salute della popolazione e dell’ambiente - concludono Zucchetti e Coraddu - non dovrebbe essere permessa alcuna installazione di ulteriori sorgenti di campi elettromagnetici presso la stazione NRTF di Niscemi, e anzi occorre approfondire lo studio delle emissioni già esistenti e pianificarne una rapida riduzione, secondo la procedura a conformità prevista dalla legislazione italiana”. Una copia del rapporto del Politecnico di Torino sul pericolo MUOS sarebbe già sul tavolo del neo ministro dell’Ambiente. I tempi stringono. Le antenne potrebbero essere montate già nei prossimi giorni…