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venerdì 29 luglio 2011

Una rete per lo spionaggio




SASSARI. Che non si trattasse di un sistema per contrastare l’immigrazione clandestina era facilmente intuibile. Prima di tutto perché sfuggiva a ogni logica il fatto che si volesse «proteggere» con una rete di radar tutta la costa occidentale dell’isola. Cioè dove storicamente non ci sono mai stati sbarchi di clandestini. Poi, elemento non secondario: la Sardegna è considerata una porta per l’Europa solo dagli «harraga» algerini. E il fenomeno ha avuto dimensioni marginali, di scarsissimo impatto sociale. Se quest’immigrazione, sporadica e stagionale, ha catalizzato l’attenzione dei nostri servizi segreti non è certo per paura di una possibile emergenza civile e umanitaria. Ma molto più semplicemente per il timore fondato che in quel flusso si potessero occultare infiltrazioni terroristiche, di matrice qaedista, come quella dei gruppi salafiti radicati in Algeria. Dunque quei radar hanno un’altra funzione. L’immigrazione clandestina è infatti la foglia di fico per nascondere le vere ragioni di una rete di controllo ispirata da logiche militari. D’altra parte è stata la stessa risposta della Guardia di finanza, riferita alla Camera dal ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito, ad aprire uno spiraglio che aiuta a capire meglio il senso dell’operazione. E la chiave di tutto è nell’acronimo C4I, dove le quattro C stanno per comando, controllo, comunicazioni e computer e la i sta per informazioni. Ma si potrebbe dire intelligence, cioè spionaggio. In estrema sintesi, un sistema la cui architettura include centri di rilevamento fissi e mobili che comunicano attraverso reti satellitari, strategiche e tattiche, e attraverso computer. È come se esistessero migliaia di occhi elettronici capaci di comunicare in tempo reale a una centrale remota scenari in movimento. Insomma, un formidabile sistema spionistico al quale nulla può sfuggire. Ma anche il sistema nervoso di un concetto operativo nuovo in uno scenario di guerra. Si legge in un documento della Difesa: «Per il singolo soldato la comunicazione e la condivisione delle operazioni, sia a livello di squadra che verso i livelli di comando sovraordinati, risultano di fondamentale importanza in quanto permettono di integrare l’unità di manovra in un sistema di comando e controllo network-centrico. In un ambiente network-centrico, tutti gli elementi partecipanti a un’operazione diventano nodi intelligenti e attivi di una rete unificata». Per cancellare ogni dubbio sul C4I basta leggere quanto scritto su Rivista Militare (edita dallo Stato maggiore dell’Esercito) nel giugno 2000 in un’intervista al brigadiere generale Angelo Pacifici: «... è un sistema informatico di comando, controllo e comunicazioni, informatico gestionale e/o informatico dedicato esclusivamente all’attività informativa (intelligence, spionaggio..., n.d.r.) e che nella funzione C4 è il naturale supporto per la funzione C2 (Comando e controllo)...». Scrive Antonio Camuso, dell’Osservatorio sui Balcani: «In poche parole, grazie alle alte tecnologie impiegate nel sistema C4I, utilizzando reti che viaggino su satelliti e su reti dedicate (Internet e/o Intranet della forza armata in questione), permette la presenza virtuale in ogni punto operativo del C4I del Comando (che si chiami Pentagono, o comando Nato, ecc...) e nel contempo di “processare” un’infinità di informazioni provenienti dal campo operativo (di battaglia) o dall’acquisizione da opera di spionaggio di qualsiasi genere, politico, economico o personale». Il sistema nel nostro Paese è nato nel 2004. Il comando venne affidato all’ammiraglio Bizzarri e al generale Viarengo. Ma interagiscono anche i servizi segreti Aise e Aisi e il cuore tecnologico del network è costituito dalla brigata Rista-Ew, che raggruppa le unità di guerra elettronica delle forze armate. L’origine politica di questa rete militare risale al luglio 1997: venne decisa in un vertice di capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Alleanza atlantica, a Madrid. Un mondo che avrebbe dovuto rimanere segreto o comunque molto riservato. Ma l’esistenza della rete C4I venne a galla quasi per caso nel febbraio 2004, quando fu casualmente scoperta da un giornalista pugliese che frugava nel sito internet del Pentagono. Si apprese così che Taranto era diventato uno dei gangli strategici della rete militare statunitense, controllata dal Navy Center for Tactical System Interoperability che ha base a San Diego, in California. A questo punto è chiaro che la sintesi politica della polemica nata sull’installazione dei radar sulla costa occidentale dell’isola è che, ancora una volta, è mancata la chiarezza e la trasparenza. Ma soprattutto che questa opacità serve a nascondere una nuova pesante servitù militare per la Sardegna

da la Nuova Sardegna

No tav, guerriglia nella notte sei feriti tra le forzedell'ordine


TORINO - E' di sei feriti fra le forze dell'ordine il bilancio di circa due ore di guerriglia alla quale hanno dato vita, nel corso della notte, circa 200 manifestanti - secondo quanto riferito dalla Questura di Torino - che hanno attaccato il cantiere della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, alla Maddalena di Chiomonte (Torino).
I feriti sono un dirigente e tre agenti di Polizia, un maresciallo dei Carabinieri e un agente della Guardia di finanza, colpito a un piede da una bomba carta e trasportato in ospedale.
Contro di loro, aderenti all'area antagonista, di matrice autonoma e anarchica, la maggior parte dei quali con il viso coperto, indossando caschi e maschere antigas - ha riferito la Questura di Torino - hanno lanciato pietre, biglie metalliche, bulloni, petardi, bombe carta, fumogeni e fuochi d'artificio. La Polizia ha risposto con getti d'acqua degli idranti e lanco di lacrimogeni.
L'autostrada A32 Torino-Bardonecchia è rimasta chiusa per tutta la durata dei disordini ed è stata riaperta al traffico intorno alle 3, al termine delle operazione di bonifica e la rimozione di pietre e altri oggetti dalla carreggiata.
Il cantiere è stato attaccato da due lati: l'area archeologica e la zona sottostante il viadotto Clarea dell'autostrada A32. Proprio in questa zona, un gruppo di manifestanti ha tentato - senza riuscirci - di forzare la recinzione dell'area agganciando la rete con un arpione: le forze dell'ordine hanno allontanato il gruppo utilizzando idranti e lacrimogeni e hanno poi reciso il
cavo metallico dell'arpione.
Nei boschi intorno al cantiere, sono divampati vari roghi - secondo la Questura - di origine dolosa. Sassaiole e lanci di petardi contro le forze dell'ordine si sono avuti anche nella fase di deflusso e allontanamento dei manifestanti dal cantiere.
Contemporaneamente ai disordini, infine, circa un centinaio di abitanti della Val Susa che contestano la realizzazione della ferrovia ad alta velocità hanno dato vita a un presidio di protesta di fronte alla centrale elettrica di Chiomonte.

giovedì 28 luglio 2011

Il TAR accoglie,per ora.

il TAR Sardegna ha accolto
l'istanza cautelare contenuta nel ricorso presentato da Italia Nostra riguardo l'intenzione
della
guardia di finanza all'installazine dei radar sia per Capo Sperone che per Flumini.
Se ne riparlerà il cinque di ottobre, come per Tresnuraghes.

Radar sulle coste, il governo non sa spiegare


È una nuova servitù: la rete C4I è un sistema militare di controllo e spionaggio. Il ministro Vito risponde all’interrogazione dei deputati Pes e Calvisi leggendo una nota della Guardia di finanza
ROMA. A dir poco imbarazzante: il governo non risponde all'interrogazione di un gruppo di deputati del Pd (primi firmatari Caterina Pes e Giulio Calvisi) sulla costruzione della rete di radar sulla costa occidentale della Sardegna. O meglio, fa rispondere alla Guardia di finanza. Un atto di insipienza politica sconcertante, che potrebbe anche essere interpretato come un totale disinteresse politico verso il problema.

Come se la questione dei radar sulle coste sarde appartenesse ad altri ambienti, come se fosse un problema tutto interno a corpi armati dello Stato. A Giulio Calvisi, che ha presentato l'interrogazione nel question time di ieri pomeriggio, il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito ha risposto con improvvido candore: «Signor presidente, do lettura della risposta fornita dal ministero dell'Economia e delle Finanze, che riporta gli elementi pervenuti dal comando generale della Guardia di finanza».

Ma non basta. C'è poi anche un'altra beffa: è stata data una risposta che non risponde alle domande. Non si parla infatti di nuove servitù militari e non si parla del fatto che i sistemi radar sono due (uno della Finanza e uno delle Capitanerie di porto. Neppure una parola, infine, sulla domanda di trasparenza. Pes e Calvisi, infatti, chiedevano al ministro dell'Economia «se non fosse opportuno e urgente rendere pubblico l'elenco di tutti i progetti in corso che prevedono l'installazione dei radar sulle coste della Sardegna per conto della Guardia di finanza e della Guardia costiera».

E invece, nella risposta all'interrogazione, il governo (ma sarebbe meglio dire la Finanza) parla genericamente di «rendere più efficiente ed efficace l'onerosa attività di vigilanza delle acque prospicienti il territorio italiano». Troppo poco davvero.

Ma c'è un passaggio, solo poche parole, che apre uno scenario inquietante: «La realizzazione della rete radar costiera è destinata a integrare il sistema di comando e controllo C4I del Corpo, dichiarato segreto». Del possibile sbarco di clandestini e del contrasto ai traffici illeciti, pericoli finora evocati per giustificare i radar, dunque non si fa parola. C'è invece questa sigla criptica che nasconde una verità scomoda che finora nessuno ha voluto dire. Sì, perché il C4I altro non è che un sistema complesso e articolato di sorveglianza e controllo elettronico militare. Non è un caso che le funzioni di intelligence, sulle competenze raggruppate nella sigla C4I (comando, controllo, comunicazione, computer, informazione) vengono assolte in parte dai servizi segreti (Aise e Aisi) e in parte dalla Brigata Rista-Ew, che raggruppa le unità di guerra elettronica appartenenti all'esercito italiano, alle dipendenze del Comando delle Trasmissioni e Informazioni dell'Esercito. La sigla Rista-Ew sta per Reconnaissance, intelligence, surveillance, target acquisition - Electronic warfare.


Insomma stiamo parlando di una nuova e sofisticatissima servitù militare per la Sardegna. Elemento che è stato colto benissimo da Caterina Pes e da Giulio Calvisi. E infatti, i due deputati del Pd dicono dopo il question time: «Siamo sconcertati per la risposta che il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito ha dato nel corso del question time all'interrogazione presentata dai parlamentari sardi del Pd sul progetto di installazione dei radar sulla costa occidentale della Sardegna. Il ministro ha sorvolato sulla nostra precisa domanda: quanti sono i radar da installare, dove verranno precisamente collocati e quali sono di pertinenza della Guardia costiera e quali della Guardia di finanza?».

«Rimane aperta un'altra questione, forse la più importante - dicono ancora Pes e Calvisi -: i siti adibiti all'installazione dei radar, infatti rischiano, in assenza di smentite, di aumentare il peso delle servitù militari in Sardegna, Non si può infine prescindere dalla posizione espressa dalle popolazioni dei territori in cui dovrebbero essere collocati i radar».

da La Nuova Sardegna

domenica 24 luglio 2011

articolo sul radar a Capo Testa

 SANTA TERESA. «Il comando generale delle capitaneria di porto avrebbe l’intenzione di installare un’antenna radar Vts sul faro di Capo Testa. Ma noi ci opporremo». Le parole sono del sindaco Stefano Pisciottu, il quale esprime preoccupazione non solo per «un assetto paesaggistico che verrebbe pregiudicato, ma anche per i rischi causati dalle onde elettromagnetiche».
 Pisciottu ha scritto una lettera, al Comando delle capitaneria di Roma per far sapere di aver appreso la notizia da fonti non ufficiali. «Esprimiamo quindi la nostra netta contrarietà per non essere stati informati e poi ricordiamo che la penisola di Capo Testa, area di interesse comunitario, rappresenta un inestimabile patrimonio paesaggistico e naturalistico che intendiamo preservare. In questo sito, cattedrali granitiche uniche al mondo, modellate dal vento di maestrale, si innalzano da un mare di colore smeraldo. Sul promontorio, a nord ovest, vigila il faro di Capo Testa - prosegue il sindaco -, secolare guardiano del sito e splendido esempio di architettura militar-marinaresca della seconda metà dell’800».
 Va avanti, Pisciottu. «Nella penisola di Capo Testa vivono centinaia di persone che, nei mesi estivi, diventano diverse migliaia che vanno ad affollare spiagge, calette e percorsi naturalistici. Oltre a causare un danno ambientale, le onde elettromagnetiche emesse dall’installazione dell’antenna, arrecherebbero gravi danni alla salute dei cittadini. Infatti se è vero che non esistono dati, scientificamente provati, sulla loro pericolosità, è anche vero che non esistono dati scientificamente provati sulla loro non pericolosità».
 Per queste ragioni, il primo cittadino invita il comando delle capitanerie a fornire all’amministrazione «ogni notizia utile sul problema sollevato», anticipando che, comunque, «porremo in essere tutte le azioni legittime, sul piano civile e politico, al fine di contrastare l’installazione di questa apparecchiatura».


venerdì 22 luglio 2011

Sa Tiria numero 1!scaricabile anche dalla sezione link utii

Uscito il numero uno di Sa Tiria un foglio contro i radar e la militarizzazione dei territori.

Per chi volesse inviare contributi la mail è : satirianoradar@gmail.com

scaricate e diffondete


http://www.mediafire.com/?5aetwu7g56gy8jt

http://www.mediafire.com/?gg8ul5oed6e42di

NO RADAR CAPO PECORA



Dal I° Maggio ad oggi siamo qui, in presidio permanente per difendere il nostro territorio da chi, ancora una volta in Sardegna, vorrebbe imporre delle scelte dettate da interessi economici e di potere...

Il comitato no radar “capo pecora” da due mesi ormai sta cercando di opporre resistenza alla costruzione del radar per:
la salvaguardia e protezione dell'ambiente;
impedire la creazione di un'ennesima servitù militare;
i possibili rischi alla salute delle persone;
una idea di vita e di economia più rispettosa dei territori e di chi li abita.

E' importante il contributo di tutti per fermare questo scempio e decidere finalmente il nostro futuro.

Partecipa attivamente al presidio e alla lotta contro il radar.

Aiutaci a sostenere le spese del ricorso al TAR per ottenere il blocco dei lavori.

Nessuna minaccia, né climatica né d'altro tipo, è riuscita a interrompere il presidio.

Finora siamo riusciti a bloccare per due volte gli operai e a far scadere i termini per il finanziamento dell'opera.

Ricordiamo che ogni giorno di presidio in più è una vittoria!

NO RADAR NÉ QUI NÉ ALTROVE

Inizio ore 18 con il dibattito poi dalle 20 in poi:

Tzoku (ex Kenze Neke)
Dr.Drer & CRC Posse
South Sardinia Bruxa
Tribulia
Bad Trip
Jonny's Brother

E' possibile campeggiare con tende sulla spiaggia, però sbaraccare tutto entro le 8...

martedì 19 luglio 2011

Sopralluogo per una stazione di rilevamento.



SANTA TERESA. I tecnici di una società specializzata al lavoro nell'area Sic I tecnici sono entrati nei giorni scorsi nell'area Sic di Capo Testa, hanno effettuato un sopralluogo preliminare per l'individuazione di un sito con precise caratteristiche. Il posto giusto per l'installazione di un impianto posizionato per monitorare le Bocche di Bonifacio e un vasto tratto di mare della Sardegna settentrionale. A Santa Teresa in tanti sanno del sopralluogo, ma i particolari del progetto non sono stati ancora comunicati alla popolazione. Si parla di un radiofaro o di una stazione di rilevamento di dati per la navigazione. Va ricordato che da tempo a Santa Teresa sono pressanti le richieste per l'attivazione di un servizio di monitoraggio delle condizioni meteomarine. Se si trattasse di una stazione di questo tipo nessuno aprirebbe bocca, ma l'ipotesi di un impianto diverso (un radar o un radiofaro) porrebbe subito una serie di questioni abbastanza serie. Di sicuro in Municipio sono a conoscenza delle operazioni in corso. UN PUNTO STRATEGICO La posizione di Capo Testa offre molti vantaggi da diversi punti di vista. Non è un caso che all'interno dell'area Sic (sito di interesse comunitario) ci siano diverse strutture realizzate nel corso degli anni per rendere più sicura la navigazione. Il sopralluogo dei giorni scorsi è stato effettuato proprio nelle vicinanze degli edifici che ospitano il faro e il vecchio semaforo dismesso. Oggi però le sfide e gli obiettivi della sicurezza e del controllo del mare sono molto diversi rispetto al passato. Lo dimostrano alcune iniziative in corso. Piani che non sempre trovano il favore delle comunità interessate. LE PROTESTE Diversi importanti centri della Sardegna sono mobilitati contro i progetti di realizzazione di radar e radiofari. I sindaci di Sassari, Sant'Antioco, Fluminimaggiore e Tresnuraghes hanno preso di posizione contro l'installazione di impianti nei loro territori. È nato anche un comitato spontaneo che ha già organizzato manifestazioni in diversi centri dell'Isola. Per semplificare si è parlato in questi casi di proteste contro il progetto dei radar anti-immigrati. Non sembra questo il caso di Santa Teresa, ma in ballo ci sono anche altri piani. MARE E SICUREZZA I programmi dei potenziamento di impianti che potrebbero interessare Santa Teresa sono quelli delle Capitanerie di Porto e della Guardia di Finanza. Capo Testa è un sito ideale per raccogliere e inviare informazioni sui movimenti in un ampio tratto di mare. Non mancano le controindicazioni. La zona nel periodo estivo viene presa d'assalto dai turisti e ci sono anche i residenti. I n tutta la Sardegna il movimento No Radar parla di pericoli per la salute dei cittadini e problemi per lo sviluppo turistico. A breve si capirà se Santa Teresa entra nell'elenco dei siti a rischio.

lunedì 18 luglio 2011

NORADAR FESTIVAL

CONCERTO NORADAR FESTIVAL
ci saranno interventi sulla situazione radar e vendita di magliette e quant'altro.
19 luglio ore 21:30
Manhattan Project Extiv
Villa Di Chiesa (Viale alberato; Ex "Exsò")
Iglesias, Italy

per chi volesse partecipare eda iutare per l'allestimento h: 20:00.

PARTECIPATE E FATE GIRARE

Comunicato stampa sulla partecipazione alla mobilitazione dei pastori a Villaputzu, domani 18 luglio 2011



Partecipiamo alla mobilitazione dei pastori, consapevoli della strumentalizzazione di cui sono vittime, e invitiamo loro, e non solo, a prenderne coscienza e organizzare autonomamente la lotta che dovranno diventare capaci di autogestirsi, se non vogliono restare schiacciati tra politicanti, venditori di fumo ed utili idioti, che altro non fanno che preparare il campo ad una disfatta che le comunità potrebbero pagare per generazioni.
Un ringraziamento particolare va, infine, al magnifico tavolo tecnico istituito dalla Regione per gestire l’emergenza determinata dallo sgombero degli allevatori e per il quale il Magistrato ne aveva delegato agli amministratori locali l’operatività. Le poche riunioni del tavolo tecnico, aperte al pubblico, sono state una passerella di oratori che si sono esibiti di fronte ad una platea plaudente di dipendenti della Base… le risposte “tecniche” le stiamo ancora aspettando, specialmente le aspetta chi dopodomani deve essere sgomberato!

PER lo SMANTELLAMENTO del PISQ: PACE e BONIFICA

ATOBIU dei gruppi autogestiti
per lo smantellamento del PISQ
info e contatti: 340 3543499



in allegato, il volantino che distribuiremo domani e che riportiamo di seguito nel corpo del messaggio

Tutto ebbe inizio dieci anni fa.
In quel periodo, mentre le aziende che sperimentavano nel poligono, di concerto con le autorità politiche, progettavano l'ampliamento e l'ammodernamento della base, un oncologo denunciava per la prima volta le troppe morti sospette a Quirra.

Da quel momento la richiesta di verità e giustizia non si é più fermata.
Le autorità - nel tentativo di chiudere la vicenda e garantire una situazione pacificata a militari ed industriali delle armi - hanno prodotto una marea di prese di posizione, commissioni di inchiesta inconcludenti, indagini farlocche e spudorate menzogne... fino ad arrivare alla Commissione d’Indagine voluta e gestita dal Ministero della Difesa, con la collaborazione di enti locali accondiscendenti (in primis le amministrazioni di Villaputzu e Perdas) e la partecipazione dell'associazione Gettiamo le Basi (a ricoprire il ruolo di coscienza critica): primo passo di un processo volto alla privatizzazione del Poligono mediante la creazione di una apposita societá di gestione che avrebbe permesso alle multinazionali delle armi - Finmeccanica in testa - di gestire direttamente le attivitá ed i guadagni e realizzare l'ammodernamento - non più prorogabile - della Base (pena l'esclusione dal mercato).

La gestione del processo - finalizzato ad acquisire per il Poligono un “certificato di qualità ambientale - é stata a dir poco fallimentare. Dapprima il tentativo di assegnare le indagini a societá scelte tra i clienti della Base e di portarle avanti senza alcuna verifica esterna. Poi la scoperta che, nonostante gli intenti rassicuranti dell’operazione, i campionamenti del territorio rivelavano una situazione piú che compromessa. A quel punto svariati tentativi di aggiustare i dati, con conseguenti ritardi nella presentazione degli stessi. Infine la fuga di notizie sull'indagine dei veterinari (dovuta probabilmente a qualcuno che si é messo le mani sulla coscienza) ed il conseguente interessamento dei media, seguita dall'intervento della magistratura (che tra l'altro ha inquisito due tecnici incaricati di svolgere parte dell'indagine per falso in atto pubblico).

L’ARPAS, a cui era stata chiesta la validazione dei risultati, ha elaborato una critica puntuale degli strumenti e dei metodi utilizzati; lo studio prodotto dall’ARPAS a partire dai dati raccolti dalla Commissione Ministeriale mostra un territorio che risulta inquinato sia nelle parti interne al Poligono che nei dintorni (e visto che si tratta di studi pubblici non é chiaro in base a che cosa tutt’ora ci sia qualcuno che ripete senza stancarsi che non vi sono dati certi circa l’inquinamento della zona!). Questa relazione - insieme a quella dei tecnici dell'ENEA incaricati dal Magistrato di valutare se le sperimentazioni e le attività agropastorali siano compatibili – ha evidenziato una realtà che ormai nessuno può più ignorare: nello stesso territorio non possono convivere attivitá civili e militari.

A prescindere da come andrà a finire la vicenda giudiziaria e lo sgombero delle aree disposto da Fiordalisi, la decisione ultima sull'utilizzo futuro di quelle terre spetterà alla politica ad alti livelli. Appare evidente che quegli stessi amministratori, responsabili della mancata tutela del territorio e delle sue genti, ora speculano sulle difficoltà di una parte della comunità, per difendere la loro posizione e le attività del poligono e vanno fomentando ad arte divisioni all'interno della popolazione, proponendo ai pastori di sposare una linea perdente, quella di continuare a negare l'evidenza, ben sapendo che presto la scelta tra civile e militare sarà obbligata.

Da che parte pensate si schiereranno coloro che da sempre hanno partecipato ai benefici legati alla presenza dell'industria di guerra?

Dunque tutto sembra presagire che il Poligono resta, i pastori vanno via ed allontanandosi aprono la strada al consolidamento delle servitù militari, all’ulteriore espansione delle stesse ed al progressivo svuotarsi di tutta l’area per effetto dell’inquinamento e del mancato sviluppo che la monocoltura militare ha comportato in tutti questi anni... Ma é possibile pensare uno scenario diverso? Non sarà il magistrato a darcelo: tutt’al più può arrivare ad un processo contro persone fisiche individuate come oggetto dell’azione penale.

La chimera di un monitoraggio ambientale della Base - che permetta di allartare in caso di problemi - é risibile perché evidentemente non compatibile con la segretezza richiesta da un poligono militare sperimentale. Si finirebbe come a la Maddalena, dove nulla é mai stato rilevato, salvo scoprire di tutto non appena i militari sono andati via... e proprio l’esperienza della Maddalena é l'esempio negativo di passaggio dal militare al civile: dall’alto sono arrivati i militari, dall’alto ne é stata decisa la partenza. La popolazione, acquiescente e passiva, ha subito la sottrazione del territorio, i disastri ambientali, la speculazione, le ruberie e la disoccupazione. Senza una popolazione attiva la chiusura del Poligono comporterà la sostituzione di un problema con un altro.

La situazione appare così confusa che molta gente pare scambiare per propri amici quelli che stanno preparandone la fossa. É chiaro che chi ha inquinato sono i militari, provocando ai pastori danni economici e fisici. É chiaro che chi dovrà risarcire i pastori di questo danno sono i militari. É evidente che la sede in cui decidere i risarcimenti sarà il tribunale e a decidere sarà il magistrato. E allora, che logica c’é nel cercare di costruire un fronte unico di allevatori, amministrazioni e militari contro giornalisti e magistrati ? Che promesse impossibili sono state fatte ?

La posizione degli allevatori é stata strumentalizzata fino a questo momento per difendere gli interessi dell'industria e del poligono e per depotenziare l'indagine giudiziaria in corso, per non parlare di chi doveva vigilare sulla salute pubblica ed ha concesso i fogli di pascolo, con autorizzazioni da parte sia militare che civile, e potrebbe doverne rispondere in tribunale.
In questo modo si é prodotta una polarizzazione pro / contro il magistrato, che impedisce ai più di leggere con chiarezza la situazione per individuare i propri reali interessi ed identificare i veri responsabili della situazione. Questo lavoro - svolto soprattutto da Coldiretti e dalle amministrazioni locali - é gravissimo dal momento che in questi mesi si deciderà la direzione che prenderà il destino stesso di queste comunità.

Nel giudicare l'operato della magistratura, inoltre, non bisogna tralasciare almeno due dei suoi principali esiti. Il primo é che il sequestro preventivo dell’area terrestre del Poligono é una tragica farsa, visto che il Ministero della Difesa ha imposto che si continuino tutte le attivitá militari ed industriali finché é in corso la guerra in Libia. Il sequestro, che avrebbe dovuto prevenire il possibile reiterarsi dei reati ipotizzati (disastro ambientale ed omicidio) finisce così per accanirsi sulle le vittime di quei reati. Il secondo é che l'attività del magistrato ha contribuito a rassicurare e mantenere in passiva attesa la popolazione, proprio nel momento in cui é vitale una presa di coscienza collettiva che si traduca in una mobilitazione - diffusa e pressante - in difesa dell’interesse collettivo e, in questo caso si può dire, della vita stessa.

In questa situazione, partecipiamo alla mobilitazione dei pastori, consapevoli della strumentalizzazione di cui sono vittime, e invitiamo loro, e non solo, a prenderne coscienza e organizzare autonomamente la lotta che dovranno diventare capaci di autogestirsi, se non vogliono restare schiacciati tra politicanti, venditori di fumo ed utili idioti, che altro non fanno che preparare il campo ad una disfatta che le comunità potrebbero pagare per generazioni.

Un ringraziamento particolare va, infine, al magnifico tavolo tecnico istituito dalla Regione per gestire l’emergenza determinata dallo sgombero degli allevatori e per il quale il Magistrato ne aveva delegato agli amministratori locali l’operatività. Le poche riunioni del tavolo tecnico, aperte al pubblico, sono state una passerella di oratori che si sono esibiti di fronte ad una platea plaudente di dipendenti della Base… le risposte “tecniche” le stiamo ancora aspettando, specialmente le aspetta chi dopodomani deve essere sgomberato!

Villaputzu, 18 luglio 2011

domenica 17 luglio 2011

No Tav - Scarcerati Marta, Salvatore, Roberto e Gianluca


fonte: notav.info

Sono stati tutti scarcerati i quattro No Tav che il 3 luglio, durante la lunga domenica resistente della Maddalena furono arrestati dalle forze dell’ordine. Il tribunale del Libertà ha ritenuto eccessiva la custodia cautelare in carcere sostituendola con gli arresti domiciliari per Gianluca Ferrari, Salvatore Soru e Roberto Nadalini e con l’obbligo di dimora per  Marta Bifani.

Liberi Tutt*!!!

sabato 16 luglio 2011

No Tav - Importante video sulle violenze della polizia durante l'assedio del 3 luglio


Rilanciamo l'invito a dare massima diffusione a questo video.

fonte: http://lavallecheresiste.blogspot.com


In un video inedito vengono raccontate le immagini che mancavano della giornata del 3 luglio alla Maddalena no tav di Chiomonte. Siamo sul fronte Ramats dietro il museo archeologico della Maddalena di Chiomonte e il prato inquadrato è l'area archeologica vera e propria dove erano custodite due tombe del neolitico. In un primo tempo si vedono i manifestanti fermati che vengono brutalmente pestati a freddo dagli agenti che lontani dai luoghi di contatto con i manifestanti si sfogano con bastoni calci e manganelli. In un secondo tempo si vedono gli agenti raccogliere delle pietre a terra per poi lanciarle verso i manifestanti. In un terzo tempo ancora si vede una ruspa cingolata ed un camion idrante che impunemente passano sulle tombe preistoriche e vengono dirette verso i manifestanti nel bosco.

guarda il video

venerdì 15 luglio 2011

RESOCONTO ASSEMBLEA COMITATI - CAGLIARI 13LUGLIO

Verbale assemblea dei comitati NORADAR 13 luglio 2011. Cagliari.


Il giorno 13 luglio si è tenuto a Cagliari un sit-in sotto il consiglio regionalein via Roma per protestare contro la costruzione dei radar e richiedere uno schierarsi del consiglio regionale contro la costruzione dei suddetti.

A seguire si è svolta l’assemblea già programmata dalla scorsa riunione dei comitati a Capo Pecora.
Presenti alcuni componenti dei Comitati di Capo Pecora, Tresnuraghes, Sant'Antioco, Cagliari e Argentiera.

Ha esordito Dilva (del Comitato di Capo Pecora) informandoci del fatto che il consigliere Uras cercherà di fornirci i permessi per accedere al consiglio di martedì prossimo, si è così deciso di tenere un altro sit-in sotto la regione martedì 19 luglio.
Esiste la possibilità che alcuni portavoce dei comitati possano accedere al consiglio regionale ed esporre le proprie motivazioni.

Successivamente ha preso la parola Marina (Capo Pecora) informando tutti sulla situazione di Capo Pecora e sulle iniziative prossime venture:

- ricorso al Tar in lavorazione, si pensa di presentarlo entro la settimana prossima;
- il sindaco di Fluminimaggiore presenterà un ulteriore ricorso al Tar;
- 19 luglio "No Radar Festival" ad Iglesias presso il Manhattan Project Extiv;
- 19 luglio Gianluca Medas sarà nel nostro presidio per un'esibizione "Racconti di Storia della Sardegna e delle Invasioni";
- 23 luglio Concerto No-Radar in Sardegna a Portixeddu.

In seguito interviene Riccardo di Magomadas (Comitato No Radar Foghe) informando della diminuzione della presenza nel presidio di Tresnuraghes, grazie alla sospensiva decisa dal Tar sino al 5 ottobre, ed offrendo la disponibilità dei presidianti di S’ischia Ruja a coprire eventuali carenze degli altri presidi
Inoltre riferisce di un eventuale esposto alla procura presentato dal comitato, l’intenzione è fare qualcosa che segni la loro autonomia rispetto all'amministrazione.

Interviene Graziano Bullegas ricordando che ottenere una sospensiva non significa che aver la vittoria in mano, ma che comunque si stanno avendo dei segnali positivi.
Informa inoltre che :
Il SAVI, con troppa leggerezza, ha scelto di non richiedere la valutazione d'incidenza e questo può far aprire una procedura di infrazione contro l'Italia.
Si è accennato anche degli abusi edilizi di Capo Pecora (la strada) e dei problemi dei presidi dovuti a scarso ricambio e stanchezza, quindi si è accennato a tenere i presidi in forma più leggera pur mantenendo alta l’attenzione per evitare incursioni poco gradite.


Un altro argomento che ha suscitato un dibattito è stata la gestione delle mail e della diffusione dei comunicati stampa e simili.
Si è deciso che sarebbe il caso che la responsabilità non ricada sempre sulle stesse persone o addirittura su singoli, ma sia una responsabilità condivisa che, riportando in sintesi l’intervento di Nello, sia una possibilità di crescita politica ed individuale per tutte e tutti.
Si è quindi ritenuto che tramite la rotazione a cadenza mensile si possa ovviare a questa esigenza. Si sono quindi offerte due persone che si occuperanno delle incombenze per un mese a partire dal giorno successivo all’assemblea.

Salvatore Orrù (Sant'Antioco) interviene proponendo di valutare la possibilità di una denuncia formale per il cambiamento della destinazione dei fondi europei, visto che sono stati stanziati per accogliere gli emigranti e non per respingerli, evidenziando anche l’utilizzo palesemente militare dei Radar che non rispecchia certo l’utilizzo dei fondi.

Marta (Cagliari) si lamenta del fatto che la mailing-list  viene poco utilizzata, privilegiando spesso mezzi di comunicazione alternativi come facebook che danno un’immagine confusa di discussioni e situazioni soprattutto condite con insulti e quant’altro.
Ricordo le decisioni dell’assemblea a Capo Pecora in cui si è deciso di utilizzare la mailing list per decisioni operative e proposte da discutere nelle singole assemblee dei presidi, privilegiando la mailing list rispetto ad altri mezzi.

Piera (Argentiera) ci informa della situazione all'Argentiera, riferendoci che il presidio continua ma,hanno accesso a poca informazione, vivono in un isolamento culturale e organizzativo, manca addirittura la  luce pubblica nelle strade. loro si fidano dell'operato dell'amministrazione, lei molto meno per cui, dopo molte perplessità inizia ad occuparsi lei del ricorso al Tar.

L’assemblea si chiude con il prossimo appuntamento di natura assembleare per il 30 luglio a L’Argentiera, previa autorizzazione da parte dei presidianti del luogo.

NORADAR, SEMPRE.

martedì 12 luglio 2011

FORSE UN REFERENDUM NON BASTA...

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/07/12/news/nuclear_express-18914442/?ref=HRER2-1

SIT-IN NORADAR MERCOLEDI' 13 LUGLIO H: 10. PALAZZO REGIONE VIA ROMA

Per chiedere che il Consiglio Regionale della Sardegna si pronunci contro l’installazione della rete di radar e contro l’ulteriore estensione delle servitù militari in Sardegna, il Comitato NOradar Sardegna indice un sit-in davanti alla sede del Consiglio Regionale per il prossimo mercoledì 13 luglio alle ore 10.00 e invita tutti gli amministratori locali interessati a solidarizzare con le proprie comunità partecipando all’iniziativa.

ARTICOLO DEL MANIFESTO

Radar "anti-immigrati" la Sardegna dice no e si ribella

Sono ancora in presidio permanente, ventiquattro ore su ventiquattro. Difendono l'ambiente della propria terra, la loro salute, e anche il tentativo di far passare una cosa per un'altra, prendere in giro la popolazione. Tutto questo è la lotta degli abitanti di quattro località sarde, che sta andando avanti da due mesi contro l'installazione di altrettanti radar descritti come "anti-clandestini". Ma la cui funzione potrebbe essere ben diversa.

I radar dovrebbero sorgere nel Comune di Sant'Antioco, a Fluminimaggiore, a Tresnuraghes e Sassari-Argentiera. Si tratta di quattro promontori, Fluminimaggiore è addirittura un territorio sotto tutela ambientale. I radar, come si può ammirare nel progetto, dovrebbero invece essere delle torri alte 12 metri, tinteggiate di rosso e bianco al culmine, per impedire che gli aerei ci sbattano sopra, e circondate da un'ampia rete che deve contenere anche lo "shelter" cioè un casotto di 6 metri per 6 che serve per la manutenzione. Ecco, non proprio un manufatto discreto. Ma, oltretutto, la potenza dei radar sarebbe molto pesante e le conseguenze sulla salute tutte da dimostrare. Tant'è che, qualche giorno fa, il Tar ha concesso la sospensiva al primo Comune che ha presentato ricorso, Tresnuraghes, proprio adducendo motivi di salute.
A ruota stanno seguendo gli altri tre Comuni interessati dalla protesta, iniziata due mesi fa.

Potenza della rete, tutto è venuto fuori grazie al blog di Antonio Mazzeo  che occupandosi del radar installato in Sicilia, era venuto a sapere del posizionamento di altri radar in giro per l'Italia. Questa dislocazione dei sensori per scandagliare il mare, infatti, non riguarda soltanto le isole. Si parla di ben 18 radar che dovrebbero essere "ospitati" tanto al nord quanto al sud della penisola. Dove? Non si sa, sembra un segreto di Stato. In questa trasmissione di Videolina il comandante della Guardia di Finanza della Sardegna Stefano Baduini rimane sul vago: Marche, Liguria, Lazio. Comunque, una cosa è certa: ben quattro toccano alla sola Sardegna. "Quando ho saputo di questa novità - racconta Graziano Bullegas dell'associazione Italia Nostra. che abita nel Comune di Sant'Antioco - ho immediatamente presentato degli esposti. Ma, andando nella località individuata per installare il radar, ho già trovato la ditta che faceva i suoi lavori. Peraltro con i piedi, come sempre, perchè avevano avuto la requisizione di un'area e invece stavano decespugliando in un'altra". La reazione della popolazione è stata immediata: manifestazioni, e soprattutto un presidio tutt'ora in atto che impedisce a chiunque di toccare il promontorio.

La stessa cosa sta accadendo a Fluminimaggiore come racconta
Marina Augias: "Abbiamo ricevuto più volte le visite di carabinieri e Guardia di Finanza
ma non abbiamo intenzione di mollare". In questo video i volti della protesta che ha coinvolto l'intero paese. "Vorrebbero mettere il radar sul promontorio di Capo Pecora, un posto ancora incontaminato, che noi stessi abbiamo preservato, dicendo no ai villaggi turistici, promuovendo uno sviluppo ecologico e solidale del territorio. Poi arrivano loro e in quattro e quattro otto ottengono delle autorizzazioni che per altri versi sarebbe impossibile ottenere".

La polemica, a stretto giro, è anche infatti con gli enti locali che - almeno in un primo tempo - hanno dato l'ok all'operazione. Ma la storia dei radar sull'isola sarda, che ha già occupato per il 67% il suolo dalle servitù militari, e su cui è esploso il caso del sequestro dei radar di Quirra  sta già creando qualche problemino in casa Pd. Se praticamente tutto il partito, che governa in alcuni di questi luoghi come a Tresnuraghes e a Sant'Antioco, si è schierato contro l'installazione dei radar, c'è invece un esponente di rilievo come Antonello Cabras, senatore Pd nonché ex sindaco di Sant'Antioco, che li difende a spada tratta. E ancora oggi il senatore - che è anche membro della delegazione parlamentare italiana alla Nato - ha insistito: "Sono indispensabili per prevenire ogni possibile azione contro la sicurezza dell'Europa", ricordando che la funzione "anti-clandestini" sarebbe solo un aspetto del progetto, e portando come esempio l'azione antiterrorismo che la Nato ha eseguito recentemente in partenership con la Russia. Cabras ha inoltre sottolineato che gli "effetti sulla salute non sono stati scientificamente dimostrati". Il sindaco di Tresnuraghes, quello che ha vinto il ricorso al Tar, ha risposto immediatamente per le rime con un comunicato, chiedendosi: "L’Ingegner Cabras ha valutato con cognizione di causa i reali danni sulla salute? E’ a conosceza che esistono già importanti, potenti e più sicuri sistemi di rilevamento quali i satelliti ?". Ma a parte queste domande retoriche il sindaco Antonio Cinellu lancia un'accusa dolorosissima in termini di stillettate politiche: "Non vorrei che le risposte fossero tutte nella nomina a futuro presidente dello Special Group dei parlamentari membri del Patto atlantico".

Ma aldilà delle personali ambizioni di Cabras, una cosa è certa: qui gatta ci cova. Le parole di Cabras, unite alla modalità poco trasparente con cui è stata condotta l'intera operazione, lasciano intendere che le finalità vadano ben oltre il "controllo dei clandestini". E che siano invece di puro stampo militare. 

E qui si apre un capitolo davvero interessantissimo. Sotto due aspetti. Il primo è: i radar vengono pagati dai finanziamenti europei (che per il momento la Guardia di Finanza ha perso, facendo tirare un sospiro di sollievo agli ambientalisti sardi) della Agenzia Frontex, che si occupa del controllo delle frontiere in ambito migratorio. Ma che ci azzeccano questi fondi se i radar servono, invece, a scopi militari, cioè per operazioni antiterrorismo e epr difendere (addirittura) l'intera Europa sud occidentale da chissà quali attacchi? No, perché le spese militari devono essere attentamente rendicontate. Non è che si acquistano (in questo caso da Israele) radar a fini civili (così sta scritto pure nella relazione tecnica per il radar di Sant'Antioco) e poi si scopre che invece servono per finalità antiterroristiche.

E il secondo è questo, come spiega  Graziano Bullegas: "Installare un radar civile ha molte meno prescrizioni dell'installazione di un radar militare". In pratica il sospetto è che sia stato scritto "civile" per ottenere più facilmente i permessi.

Senza contare le implicazioni per la salute della popolazione, ma anche della flora e della fauna: "Le relazioni dell'Arpas, l'Agenzia regionale per l'ambiente, non sono affatto rassicuranti - spiega ancora Bullegas - alla fine hanno dato l'ok, ma con una serie di prescrizioni di cui noi non ci fidiamo. Tra queste, ad esempio, il fatto che quando il radar punta verso terra deve essere spento, proprio epr evitare danni". E se invece si evitasse di installarlo del tutto?


lunedì 11 luglio 2011

Dichiarazione di Cabras - vergognosa.

Immigrazione: radar; Cabras, necessari per sicurezza Europa

Dopo contestazioni dei siti sorveglianza marittima nell'isola

11 luglio, 10:57

Lo sostiene il senatore Antonello Cabras (Pd), membro della Delegazione parlamentare italiana all'assemblea parlamentare della Nato, spiegando le ragioni della programmata installazione di quattro radar di sorveglianza in siti lungo la costa occidentale dell'isola. Secondo Cabras, che ha auspicato l'individuazione dei siti in accordo con i Comuni, la pericolosita' dei radar non e' mai stata dimostrata.(ANSA).

IMMAGINE DALLA MANIFESTAZIONE

domenica 10 luglio 2011

SE CHI CERCA LE ARMI CON I RADAR E' LO STESSO CHE LE TRASPORTA....UNA BREVE CRONACA.

La Nuova Sardegna 6 Giugno 2011

Giallo su dove sono finite le armi di Zhukov


Portate in un sito segreto dopo il trasferimento a Civitavecchia su un traghetto di linea. Guardia del Moro liberata per la Nato o le armi sono state trasferite per un possibile misterioso utilizzo
LA MADDALENA. La magistratura seguirà la sua strada: definirà i profili di responsabilità, verificherà l’eventuale violazione delle procedure di sicurezza e chiarirà chi e perché ha deciso il trasferimento delle armi, che nel 1994 erano destinate al mattatoio dei Balcani, dall’isola-bunker di Santo Stefano a Civitavecchia su traghetti passeggeri invece che su naviglio militare. Un’operazione che, al di là della sua compatibilità con norme e regolamenti, appare a dir poco non ortodossa se non addirittura molto discutibile. E che apre inevitabilmente un fronte politico.
Le prime reazioni di alcuni parlamentari sardi come Gian Piero Scanu e Giulio Calvisi, ma anche le preoccupazioni espresse dal presidente della Regione Ugo Cappellacci sono infatti il segnale chiaro di un ritorno di attenzione sulla questione più generale della presenza militare nell’isola. Un dibattito che aveva raggiunto toni acuti e momenti di confronto anche ruvido negli anni scorsi tra la Regione e il governo e la Difesa, ma che si è poi progressivamente affievolito.
Negli ultimi mesi qualcosa ha ricominciato a muoversi, per dire la verità, con l’inchiesta aperta dalla procura di Lanusei sulle attività nel poligono interforze del Salto di Quirra e le sue pericolose ricadute sul piano ambientale e della salute pubblica. E hanno alimentato legittime preoccupazioni alcuni episodi inquietanti, come la presenza di personale militare iraniano nel poligono di Teulada per testare l’elicottero da combattimento Mangusta. Circostanza smentita dal comando militare della Sardegna che ha però tenuto a chiarire che le attività all’interno dei poligoni dipendono direttamente da Roma.
Il caso del trasferimento delle armi sequestrate all’oligarca russo Alexander Borisovic Zhukov è però anche la premessa di un giallo politico-militare ancora tutto da chiarire. Prima di tutto: si sa che migliaia di kalashnikov, di razzi e di missili sono partiti dal deposito-bunker di Guardia del Moro, a Santo Stefano, ma non si conosce la loro destinazione. Perché, poi, questo trasferimento è stato deciso proprio ora, cioè a sei anni dalla sentenza della Cassazione che assolse per difetto di giurisdizione Zhukov e altre nove persone, tra le quali l’imprenditore greco Kostantinos Dafermos, il trafficante ungherese Gedda Mezosy e l’ex agente del Kgb Anatolij Fedorenko, considerato in stretti rapporti con la Solnetsevskaja (Brigata del Sole), uno dei più potenti clan della mafia russa?
La magistratura respinse la richiesta di Zhukov di riavere indietro l’arsenale sequestrato (per un valore di decine di milioni di dollari) sulla Jadran Express perché, al di là del mancato riconoscimento della responsabilità penale degli imputati, le armi erano destinate alle fazioni in lotta nella ex Jugoslavia e quindi era stato forzato, illegittimamente per il diritto internazionale, il blocco imposto dall’Onu.
La magistratura torinese dispose quindi la distruzione dell’immenso arsenale che era stato stoccato nelle gallerie sotto roccia di Guardia del Moro. Ma nessuno ha fino a oggi provveduto ad eseguire l’ordine. Quelle armi sono rimaste così conservate a Santo Stefano, quasi a legittimare l’utilità del deposito, proprio mentre si scatenavano furenti polemiche sull’opportunità di dismettere Guardia del Moro e restituire i terreni ai legittimi proprietari.
Ecco dunque la prima domanda che attende una risposta: perché le armi non sono state distrutte? Ma aprendo gli archivi e rileggendo con attenzione il caso della Jadran Express, si scopre che forse merita un approfondimento anche il trasferimento delle armi da Taranto a Santo Stefano, subito dopo il sequestro. Sì, perché pare che, come è accaduto nelle scorse settimane, la Difesa anche allora si sia rivolta a un’impresa privata specializzata nei trasporti. Da qui il dubbio che anche negli anni Novanta, il trasporto dell’arsenale possa essere avvenuto non su naviglio militare, ma su traghetti civili di linea.
C’è poi la domanda forse più importante: dove sono state realmente trasferite le armi di Zhukov? Problema non secondario, questo. Ma ogni risposta apre nuove domande. Per esempio: se sono state destinate alla distruzione si deve capire perché lo si fa proprio ora, 17 anni dopo il sequestro e sei anni dopo la sentenza della Cassazione.
Se invece sono destinate a essere stoccate in un altro deposito nella Penisola, ne consegue in logico interrogativo: perché si è deciso di sgomberare le gallerie di Guardia del Moro? Forse si è deciso di destinarle a un nuovo utilizzo, visto che è stata già presentata la domanda di rinnovo della servitù militare che scade nel febbraio del prossimo anno? E se sì, c’entra qualcosa il crescente interesse della Nato per creare un presidio nell’arcipelago maddalenino come si è appreso nei mesi scorsi da alcune indiscrezioni?
C’è infine un’ultima ipotesi che però probabilmente non potrà mai avere una risposta. Ipotesi fantasiosa, si dirà, ma che ha qualche imbarazzante precedente storico. L’ammiraglio Fulvio Martini, che diresse il servizio segreto militare (allora Sismi), ammise in un’audizione davanti alla Commissione stragi del Parlamento il 6 ottobre 1999: «Negli anni 1985-1987 noi organizzammo una specie di colpo di stato in Tunisia, mettendo Ben Alì alla presidenza e sostituendo Bourghiba, ormai senescente, che voleva fuggire». Insomma, un “golpe morbido” voluto e organizzato dal governo Craxi e attuato proprio dal Sismi. Martini usò molta prudenza, ma comunque ammise nella sostanza i fatti. Rivelando così l’esistenza di quella politica parallela, occulta, che si sviluppa fuori dai canoni dell’ortodossia diplomatica ufficiale. Per la verità, uno 007 italiano che partecipò al golpe in Tunisia, nome in codice G-71, parlò di un colpo di stato con momenti anche cruenti, anche con il ricorso alle armi. Tutta questa premessa per ipotizzare un possibile, ipotetico, utilizzo delle armi di Zhukov in uno scenario internazionale. Magari nell’area africana.
Le rotte segrete delle navi della morte negli anni ’90

Il pentito della ’ndrangheta Fonti ha parlato ai magistrati di altri viaggi della Jadran Express

LA MADDALENA. Anni bui, di traffici e di trame, gli anni Novanta. Le armi sequestrate al petroliere Zhukov vengono da quella stagione nella quale le acque del Mediterraneo erano solcate da navi-cargo cariche di fucili, razzi, bombe e scorie nucleari. Un commercio oscuro che alimentava guerre sanguinose ai Africa e nei Balcani e risolveva i problemi di spregiudicate aziende che smaltivano rifiuti tossici a basso costo. Con le inconfessabili complicità dei servizi segreti di molti governi.
La Jadran Express, per esempio, non fece solo quel viaggio nel quale, nel marzo del ’94 venne bloccata nello Stretto di Otranto. Ne parla infatti anche il superpentito della ’ndrangheta Francesco Fonti che ha raccontato alla magistratura il grande business delle armi e delle scorie.
Così disse Fonti: «Le armi erano 75 casse di kalashnikov, 25 casse di munizioni e 30 di mitragliette Uzi. All’inizio del 1993 furono caricate in Ucraina, dalla fabbrica “Ukrespets Export”, a Odessa, a bordo della nave Jadran Express che batteva bandiera maltese, affittata per mio conto..... La Jadran Express fece scalo a Trieste, dove le armi furono quindi caricate su due camion e trasferite nel porto di La Spezia, luogo in cui furono trasbordate dentro un capannone portuale, in attesa di essere reimbarcate sulla nave Mohamuud Harbi».
Le armi finirono poi in Somalia e consegnate alla fazione di Ali Mahdi. Era i traffici sui quali stava indagando la giornalista del Tg3 Ilaria Alpi, assassinata a Mogadiscio il 20 marzo del 1994.

In questi oscuri affari sembra essere entrata un’altra nave, la Lucina, che nel luglio del 1994 fu teatro di una terribile mattanza nel porto di Djendjen, in Algeria: i sette uomini dell’equipaggio vennezo sgozzati e sparirono 600 tonnellate di carico. Secondo alcuni testimoni oculari, quella nave era a Capo Ferrato, in Sardegna, il 2 marzo del ’94, quando sparì un elicottero della finanza con due militari a bordo. Forse fu abbattuto.
Ma la storia di queste navi della morte viene continuamente cancellata e riscritta. Semplicemente cambiando nome. La Jadran Express, per esempio, oggi si chiama Hrvatska e batte bandiera croata. E la Lucina, dopo essersi stata chiamata Pepito oggi è la Joanne I e batte bandiera panamense. (p.m.)

06/06/2011




La Nuova Sardegna 5 Giugno 2011

Missili su navi passeggeri, aperta l’inchiesta


La Procura di Tempio avvia un’indagine formale. Il ruolo del Genio militare

GIAMPIERO COCCO E PIER GIORGIO PINNA
LA MADDALENA. Missili, fucili mitragliatori e razzi a bordo di due traghetti: la magistratura di Tempio avvia un’inchiesta. Con l’apertura di un fascicolo giudiziario per «atti relativi» sulla notizia anticipata ieri dalla «Nuova Sardegna».
In estrema sintesi, si parla del trasferimento - tra il 18 e il 20 maggio scorso - di un maxi-arsenale da tempo confiscato perché finito al centro di traffici clandestini internazionali. Prima con un «trasloco» dall’isola-bunker di Santo Stefano, dov’era stivato dal 1994, al porto passeggeri della Maddalena. E poi da lì a Palau, Olbia, Civitavecchia.
Tutto con l’ausilio di due normali navi di linea cariche di sardi e turisti, una della Saremar e l’altra della Tirrenia. In una situazione che Marisardegna definisce «senza pericoli».
«Le cariche erano inerti, già disattivate prima della partenza, a bordo non è mai arrivato alcun tipo di esplosivo», aggiungono infatti i vertici regionali della Marina.

A dare il via agli accertamenti e ai riscontri con estrema tempestività è stato ieri mattina il sostituto procuratore della Repubblica Riccardo Rossi, lo stesso magistrato che indaga sulle bonifiche mancate nell’ex arsenale della Maddalena. Dal suo ufficio di Tempio avrebbe già preso contatti con il Comando di Marisardegna. Trovando le prime conferme sulle modalità usate per il trasporto e su chi ha diretto l’intera operazione, classificata come «riservata» dalle autorità militari. Che avrebbero, stando alle prime indicazioni, agito alla luce del sole, senza discostarsi dai protocolli di sicurezza previsti per questo genere di trasporti.

Il magistrato ha però chiesto formali spiegazioni a livello ufficiale su tutti i particolari della missione. Così i prossimi giorni, sotto tutti questi profili, si riveleranno certamente cruciali.
Ma di più, nel frattempo, non è dato sapere. Dalle prime indiscrezioni trapelate sembra che molta parte delle verifiche sia legata all’accertamento del livello di responsabilità nella missione. Il comando dell’intera operazione - dopo le disposizioni della magistratura di Torino che aveva ordinato la distruzione delle armi stivate nelle gallerie di Santo Stefano fin dal 1994 -, sarebbe stata affidata all’Esercito, piu precisamente al Genio militare.
Invece la Marina - «padrona» di casa lungo i moli e nei tunnel nell’isola-bunker, una enorme polveriera dove da anni sono stivati esplosivi, armi e munizionamento bellico - avrebbe fornito all’Esercito soltanto il necessario e indispensabile supporto logistico. Mentre il trasporto, la scorta e la sorveglianza del convoglio - fanno sapere da Cagliari - sarebbero avvenuti utilizzando mezzi e personale specializzato dell’Esercito.
Ma qual è la destinazione finale delle armi, che qualcuno vuole siano rimaste a poca distanza da Civitavechia, all’interno di una base militare, in attesa delle disposizioni finali sulla loro sorte? Ancora non si sa.

Ci sono invece particolari sullo stoccaggio fatto a suo tempo. Nei rapporti redatti dall’autorità giudiziaria di Torino, che aprì l’inchiesta sul gigantesco traffico scaturito dal blocco navale della Nato istituito nel Canale d’Otranto dove incappò la nave carica di armamenti russi destinati a rifornire i belligeranti della ex Jugoslavia, s’indicò un’impressionante quantità di pezzi e munizionamento.

Ecco l’elenco esatto: 30mila kalashnikov, 32 milioni di proiettili per i mitragliatori AK 47, 400 missili terra-aria filoguidati con annesse 50 postazioni di tiro, 5mila razzi katiuscia. Non si sa se tutto questo materiale bellico abbia fatto parte del carico finito nei quattro container. Ma in fondo il problema è un altro: stabilire che cos’è finito con esattezza nelle stive delle due navi passeggeri.


L’enigma del deposito di Guardia del Moro

La Marina non lo vuole cedere: chiesto il rinnovo della servitù

Ora è considerato di importanza strategica, ma nel 2003 venne offerto alla Us Navy L’interesse della Nato


LA MADDALENA. Sul deposito sotterraneo di Guardia del Moro c’è una verità sfuggente e indecifrabile. Un qualcosa di non detto che va oltre i formalismi della tecnocrazia militare e le retoriche enunciazioni di principio del ministero della Difesa. Non si tratta di fumose teorie dietrologiche, ma a dirlo è la stessa storia recente del sistema di gallerie, che si sviluppa nel ventre dell’isola di Santo Stefano. D’altra parte, negli ultimi quarant’anni sono stati proprio i fatti a dimostrare che alla Maddalena può benissimo applicarsi la fulminante battuta che lo statista inglese Winston Churchill fece sulla storia russa: «Si tratta di un indovinello, avvolto in un mistero all’interno di un enigma». E la storia di Guardia del Moro è tutto e il suo contrario. L’unica costante è che deve mantenere le stellette. Non importa se delle forze armate italiane, degli Stati Uniti o della Nato.
Secondo un documento riservato della Us Navy, in codice R.g.i.s., filtrato nel 2005 dal Comusnaveur (il comando della Us Navy per l’Europa), lo stato maggiore italiano (Italian defence general staff) offrì nel marzo del 2003 alla Us Navy Guardia del Moro. Nel documento si legge infatti che il ministero della Difesa italiano (indicato con la sigla ModI) aveva messo a disposizione della Marina americana anche l’intero comprensorio di Santo Stefano, incluso il tunnel del deposito di munizioni sottoroccia.

Quindi, Guardia del Moro non era considerato più indispensabile per la Marina. Ma, appena un anno dopo, ecco l’incredibile dietro-front. Il 13 dicembre di quell’anno, infatti, davanti alla Commissione Difesa della Camera, l’ammiraglio Paolo La Rosa, parlando del deposito munizioni di Guardia del Moro, disse: «Il suo valore strategico risiede nel fatto che esso è l’unico, tra tutti quelli in uso, in grado di rispondere pienamente a tutti i requisiti operativi logistici». Come dire: non dismissibile perché indispensabile per la Marina.

Indimenticabile, in quell’occasione, la gaffe di La Rosa. L’ammiragio disse infatti che la Difesa avrebbe corrisposto una cifra consistente per indennizzare il proprietario del sito: 893mila euro per il quinquennio 2007-2011. Al Comune della Maddalena sarebbe andata metà di quella somma, cioè 446mila euro. Peccato, però, che le cifre reali avevano tre zeri in meno... Per quella servitù la Difesa paga una umiliante elemosina ai proprietari e al Comune.

La famiglia Serra, proprietaria dell’isola, chiese allora l’esproprio dei 63 ettari e mezzo di Santo Stefano, rivendicando una somma notevole: quasi 13 milioni di euro. Negli anni Ottanta i Serra avevano aperto un contenzioso con il ministero della Difesa per l’isola “scippata” nell’interesse superiore della Nazione. Ebbene, il tribunale di Cagliari nominò un perito per fare una valutazione dei terreni sottoposti a servitù. Nel 1988, il tecnico dei giudici attribuì ai terreni lungo la costa di Santo Stefano il valore di 40mila lire al metro quadro e 20mila lire per gli altri. Calcolatrice alla mano, si arrivò a una somma molto vicina ai tredici miliardi di lire di allora. Quella cifra, secondo la rivalutazione dei coefficienti Istat, nel 2007 corrispondeva a dodici milioni 781 mila 326 euro.

Ma quell’anno accadde l’incredibile: ci si accorse infatti che la Difesa aveva dimenticato di rinnovare la richiesta di imposizione della servitù. Il 7 marzo, almeno teoricamente, il deposito di Guardia del Moro tornò quindi nella disponibilità dei suoi legittimi proprietari e si arrivò al paradosso che la Marina occupava abusivamente spazi privati. Fu allora che, dal punto di vista politico, si creò uno strappo - sul quale l’allora presidente della Regione Renato Soru ha sempre glissato - con il governo “amico” di centrosinistra che sposò in pieno le tesi della Marina e negò a Soru la restituzione di Santo Stefano e, quindi, delle gallerie di Guardia del Moro. Enrico Letta e Francesco Rutelli si schierarono con il governatore, ma questo non bastò. Come nel luglio del 2008 fu inutile il ricorso della Regione al Consiglio dei ministri, presieduto allora da Berlusconi.
Dopo qualche settimana anche il Tar riconobbe la legittimità della servitù, decretandone il rinnovo quinquennale. La servitù perciò scadrà nel febbraio del prossimo anno. E proprio qui sta la novità di questi giorni. Secondo alcune voci, per non incappare in imbarazzanti querelle, la Marina ha già chiesto un ulteriore rinnovo quinquennale della servitù.
Resta in piedi sempre la stessa domanda: perché la Marina tiene tanto a Guardia del Moro? Per ospitare, come dice, i nuovi missili Aster-15 e Aster-30? Illogico, visto che la flotta italiana è oggi concentrata nei porti di Taranto, La Spezia e Augusta e cioè a centinaia di miglia da Santo Stefano. E allora?Il dubbio è che il deposito debba essere restituito a chi lo ha costruito: la Nato.

05/06/2011

Capo Testa, giallo sul radar Sopralluogo per una stazione di rilevamento

Unione Sarda 29 Giugno 2011-07-10


SANTA TERESA. I tecnici di una società specializzata al lavoro nell'area Sic I tecnici sono entrati nei giorni scorsi nell'area Sic di Capo Testa, hanno effettuato un sopralluogo preliminare per l'individuazione di un sito con precise caratteristiche. Il posto giusto per l'installazione di un impianto posizionato per monitorare le Bocche di Bonifacio e un vasto tratto di mare della Sardegna settentrionale. A Santa Teresa in tanti sanno del sopralluogo, ma i particolari del progetto non sono stati ancora comunicati alla popolazione. Si parla di un radiofaro o di una stazione di rilevamento di dati per la navigazione. Va ricordato che da tempo a Santa Teresa sono pressanti le richieste per l'attivazione di un servizio di monitoraggio delle condizioni meteomarine. Se si trattasse di una stazione di questo tipo nessuno aprirebbe bocca, ma l'ipotesi di un impianto diverso (un radar o un radiofaro) porrebbe subito una serie di questioni abbastanza serie. Di sicuro in Municipio sono a conoscenza delle operazioni in corso. UN PUNTO STRATEGICO La posizione di Capo Testa offre molti vantaggi da diversi punti di vista. Non è un caso che all'interno dell'area Sic (sito di interesse comunitario) ci siano diverse strutture realizzate nel corso degli anni per rendere più sicura la navigazione. Il sopralluogo dei giorni scorsi è stato effettuato proprio nelle vicinanze degli edifici che ospitano il faro e il vecchio semaforo dismesso. Oggi però le sfide e gli obiettivi della sicurezza e del controllo del mare sono molto diversi rispetto al passato. Lo dimostrano alcune iniziative in corso. Piani che non sempre trovano il favore delle comunità interessate. LE PROTESTE Diversi importanti centri della Sardegna sono mobilitati contro i progetti di realizzazione di radar e radiofari. I sindaci di Sassari, Sant'Antioco, Fluminimaggiore e Tresnuraghes hanno preso di posizione contro l'installazione di impianti nei loro territori. È nato anche un comitato spontaneo che ha già organizzato manifestazioni in diversi centri dell'Isola. Per semplificare si è parlato in questi casi di proteste contro il progetto dei radar anti-immigrati. Non sembra questo il caso di Santa Teresa, ma in ballo ci sono anche altri piani. MARE E SICUREZZA I programmi dei potenziamento di impianti che potrebbero interessare Santa Teresa sono quelli delle Capitanerie di Porto e della Guardia di Finanza. Capo Testa è un sito ideale per raccogliere e inviare informazioni sui movimenti in un ampio tratto di mare. Non mancano le controindicazioni. La zona nel periodo estivo viene presa d'assalto dai turisti e ci sono anche i residenti. I n tutta la Sardegna il movimento No Radar parla di pericoli per la salute dei cittadini e problemi per lo sviluppo turistico. A breve si capirà se Santa Teresa entra nell'elenco dei siti a rischio.

sabato 9 luglio 2011

Più soldi alle missioni militari Quella Pro Tav costa più del tunnel


Con un leggero taglio alla spese previste il consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il rifinanziamento delle missioni militari all’estero. Il governo è giunto all’appuntamento diviso. In una lettera indirizzata a palazzo Chigi dal ministro Calderoli, la Lega aveva definito «assolutamente inopportuno» avviare una discussione sull’argomento senza un preventivo «chiarimento politico» sul numero delle missioni, i costi, l’utilità e la loro durata. In mancanza del quale minacciava il blocco dei nuovi finanziamenti. Da sempre “isolazionista” in politica estera, la Lega si era detta contraria all’intervento militare in Libia, aveva più volte reclamato la chiusura di alcune missioni, come quelle in Libano e Kosovo, e di fronte ai continui attentati con effetti mortali contro il contingente italiano insiste da tempo sulla necessità di ripensare la presenza delle truppe tricolori in Afghanistan. Per sciogliere tutti i nodi della questione, il presidente del consiglio Berlusconi ha presieduto intorno alle 9, un’ora e mezzo prima dell’avvio del consiglio dei ministri, una riunione con i ministri La Russa, Calderoli, Frattini, Maroni, Tremonti oltre al sottosegretario Letta. Dall’incontro la Lega ha ottenuto molto meno di quanto richiesto. Secondo Calderoli rientreranno in tutto 2.070 militari, mentre il budget della guerra contro Gheddafi sarebbe stato ridotto del 50%. I tagli verranno dal ritiro della portaerei Garibaldi dalle coste libiche e di una nave che perlustra quelle libanesi, dalla chiusura di alcune delle 28 missioni che operano con l’Onu, come in Georgia e Congo, dalla riduzione di circa 600 uomini del contingente attivo come forza cuscinetto in Libano e di quello presente in Kosovo, che verrà ridotto della metà. In serata però interviene il presidente della repubblica Giorgio Napolitano che frena questa ipotesi: «No a decisioni o ritiri unilaterali: Toghether out or toghether in». Nel dl il governo destina alla continuazione delle missioni circa 700 milioni di euro, comprensivo degli ulteriori tre mesi - fino a settembre - di impegno militare in Libia. Nei primi sei mesi del 2011 il costo delle missioni è stato di 668 milioni di euro, ai quali si sono aggiunti i costi degli attacchi aerei contro la Libia. Altri 142 milioni che hanno portato il bilancio complessivo a 810 milioni. Il taglio finale insomma è di appena 100 milioni di euro, con un budget incrementato di 15 milioni rispetto alla spesa del primo semestre senza contare il prezzo della guerra a Gheddafi. In realtà se non ci fosse stato l’imprevisto libico, si sarebbe parlato di un finanziamento accresciuto, seppure in modo lieve. Lo sperpero di denaro pubblico, nel momento in cui il governo vara una nuova manovra economica che colpisce duramente lavoratori, pensionati, precari e persino quel ceto medio che ne costituiva l’ossatura del suo consenso, è ancora più evidente e scandaloso se si prende in considerazione il costo delle missioni militari interne. Il movimento No Tav ha recentemente denunciato che il costo della militarizzazione dei cantieri in Valsusa, ribattezzata “Susastan”, oltre a rappresentare un vulnus alla democrazia, un sfregio della volontà delle popolazioni locali, comporta un costo pari a due volte il valore del finanziamento a fondo perduto (417,4 milioni di euro, ossia il 63% dei 662,6 milioni complessivi stanziati per il progetto. I restanti andranno alla Francia) che l’Unione europea ha promesso all’Italia per la Torino-Lione. E che secondo il ministro dell’Interno Maroni hanno giustificato l’invio delle truppe. 2000 uomini, una enormità se consideriamo che in Afghanistan ne vengono impiegati 4000. Lo scavo della galleria geognostica e di servizio de La Maddalena - spiegano i No Tav - «costerà non meno di 143 milioni di euro per 56 mesi di lavoro. Il dispositivo militare adottato per contrastare l’opposizione popolare costerà 186 milioni all’anno, quindi in totale 868 milioni di euro (6 volte il valore dell’opera)». Le stime di spesa - precisano sempre i No Tav - sono state fatte considerando i costi industriali e la struttura delle truppe (ufficiali, sottufficiali, truppa) ed i relativi costi diretti e indiretti (stipendio, ore di straordinario, indennità di missione, tredicesime, tfr, vitto e alloggio). Non sono stati considerati, invece, i costi diretti e indiretti dei veicoli e degli elicotteri, il costo dei lacrimogeni e le spese generali degli ufficiali di comando che non sono dislocati sul campo. A La Maddalena, secondo le dichiarazioni fornite dai media, sono stati schierati 1.920 uomini su 4 turni. Il costo di ciascun uomo è stato calcolato pari a 265,06 euro al giorno in media. Il costo annuo di questo dispositivo è quindi di 185.754.048 euro. «Quando dovesse essere aperto il cantiere - concludono gli autori della stima - per il tunnel di base di 57 km, il costo della difesa militare del cantiere per i presumibili 15 anni di lavoro potrà essere, a costi 2011, pari a 2,79 miliardi di euro».

venerdì 8 luglio 2011

MANIFESTAZIONE E CORTEO  CON INIZIO DA PIAZZA GARIBALDI A CAGLIARI
GIORNO 9 luglio ’11   A PARTIRE DALLE ORE 17.30
NO TAV
NO RADAR
NO POLIGONI MILITARI
Tre sostantivi preceduti da una negazione. Sì, non vogliamo che venga realizzata quell’ opera faraonica inutile e dispendiosa che va sotto il nome di TAV, frutto di un gigantesco imbroglio.    Un’ opera pensata e progettata venti anni fa e ormai vecchia, visto che le merci che viaggiano
su quella tratta non aumentano ma diminuiscono;  devastante per un territorio particolarmente sensibile dal punto di vista ambientale e paesaggistico e che si vuole portare avanti comunque
ed  a qualsiasi costo  contro gli interessi e il volere  delle popolazioni che abitano quelle valli.
Un atto di imperio perpetrato da parte del governo centrale e di buona parte delle opposizioni.
Un atto di arroganza sorda e cieca concretizzatasi nella  militarizzazione di quella Valle. Ci chiediamo quanto possa durare questa militarizzazione!. non possiamo non denunciare la cialtronaggine di chi , a parole si dichiara federalista, difensore delle “piccole patrie” ognuno padrone in casa propria”  tranne poi comportarsi come il peggiore assertore di un governo centralista sordo alle istanze dei territori.   E dicendo NO TAV non possiamo non dire NO RADAR.
NO perché non si riesce a comprendere l’utilità di questi aggeggi .Noi crediamo che facciano 
un torto all’intelligenza del popolo sardo coloro  che ci ammanniscono  la storiella  “dell’avvistamento dei clandestini” per  giustificare l’installazione di questi ordigni,  Noi vogliamo che  la Sardegna  sia  una Terra di pace  e non vogliamo che venga ulteriormente militarizzata mediante l’installazione di nuovi strumenti di guerra e tali noi consideriamo questi radar. Non dimentichiamo, non vogliamo dimenticare, anzi abbiamo  il dovere di ricordare che, mentre si attrezza per impiantare questi aggeggi, lo stato italiano, in combutta con altri,   conduce una guerra di aggressione contro una nazione che  fino ad ieri veniva considerata “amica” (la Libia)   mentre continua a condurne un’altra in Afghanistan.
Stiamo ‘’scoprendo’’ (in realtà si sa già da molto tempo!) giorno dopo giorno i disastri provocati
da un poligono militare, quello di Quirra, a persone, animali, acqua, aria e suolo e siamo convinti
che si verrà informati solo su una piccolissima parte di quanto si nasconde già da diverso tempo
alla popolazione locale su quel territorio e su tutti i territori sardi oggi occupati da basi o servitù militari. Per questo diciamo NO a questo e agli altri poligoni militari utilizzati per sperimentare armi e logistiche di guerra in Sardegna e nel resto del mondo.

Alla manifestazione promossa da:
Cagliari Social Forum, Collettivo Anticapitalista sardo hanno aderito: oltre a tante singole persone:
Comitato Gettiamo le basi, PRC Sardegna, Indipendenstistas, Sinistra Critica Sardegna, COBAS, USB, Comitato Disarmiamoli. Comitato Difesa Ambiente  Su Giossu Villaputzu.Collettivo marxista-leninista Nuoro, Comitati NO RADAR di S. Antioco, Cagliari e Flumini
I comitati no radar Sardegna terranno  un presidio sotto la Regione per ribadire il loro No  a questi strumenti e per fare sì che anche il Consiglio regionale prenda posizione in questo senso  il giorno MARTEDI’  12 LUGLIO ALLE ORE 10.   PARTECIPIAMO!!

giovedì 7 luglio 2011

Tresnuraghes ha vinto (ma solo per ora) Il Tar: "Stop alla costruzione del radar"


Niente installazione di radar militare in funzione anti-sbarchi a Tresnuraghes almeno sino al 5 ottobre. Lo ha deciso in serata il Tar della Sardegna accogliendo l'istanza di sospensiva cautelare presentata dal Comune del piccolo centro dell'Oristanese, attraverso l'avvocato Giuseppe Longheu.
I giudici della prima sezione, presieduta da Aldo Ravalli (a latere Alessandro Maggio e Gianluca Rovelli), hanno ritenuto, almeno in prima lettura, che il ricorso appare fondato, ma si riservano di valutare l'ulteriore documentazione che oggi è stata prodotta dalla Guardia di Finanza, titolare del progetto nazionale che prevede diversi radar in Italia, alcuni dei quali in Sardegna, per il controllo dei flussi migratori via mare. Di qui il rinvio al 5 ottobre quando i giudici torneranno in camera di consiglio. "E' legittimo - si legge nel dispositivo del Tar - che il Comune faccia valere in giudizio il diritto alla salute e alla incolumità fisica dei propri abitanti, nonchè il diritto, proprio della collettività locale, alla salubrità dell'ambiente". E proprio per rivendicare il diritto alla salute, questa mattina hanno manifestato davanti al Tribunale amministrativo le associazioni riunite nel comitato No radar Sardegna.

da l'unione sarda

conferenza stampa NOTAV - intervento.

http://www.youtube.com/watch?v=q7lexHWsN10&NR=1

VIDEOLINA - SIT-IN NORADAR

http://www.videolina.it/view/servizi/17258.html

mercoledì 6 luglio 2011

L'ammiraglio Locklear: «I nuovi radar in Sardegna indispensabili per la Nato»

LA MADDALENA. Volete sapere perché c'è fretta di piazzare tanti radar sulle coste sarde? La risposta, indirettamente, la dà il comandante della Nato per il Sud Europa e per l'Africa: «Dobbiamo garantire la sicurezza nel Mediterraneo: attraverso i nostri apparati di controllo oggi possiamo vigilare sul 60% degli specchi d'acqua, in futuro dovremmo portare questo livello al 70-80%». Al vertice del Patto atlantico l'ammiraglio Usa, Samuel J. Locklear III, spiega che gli Stati membri dell'Alleanza atlantica sono impegnati a mantenere «un clima legale e sicuro» nei traffici marittimi. Riferimento non soltanto ai flussi migratori, ma a un quadro che s'inserisce piuttosto in una chiave di lettura internazionale che comprende la possibile presenza vicino alle coste europee di forze ostili alla Nato. «Dobbiamo contare su una rete analoga a quella usata contro i narcotrafficanti», precisa ancora l'alto ufficiale, chiamato alla Maddalena per parlare della guerra in Libia e delle altre situazioni di crisi nel Mediterraneo, come i Balcani. «E per farlo non è indispensabile avere nostre unità costantemente in mare per svolgere compiti di pattugliamento - aggiunge - E' sufficiente che la Marina, grazie alla sorveglianza dei radar, possa intervenire rapidamente, dove necessario, e anche per evitare catastrofi umanitarie». Occasione e circostanze non consentono invece all'ammiraglio di dir nulla sul ruolo strategico della Sardegna. Né di riferire qualcosa sulle voci (sempre smentite) di una possibile riapertura della ex base Us Navy a Santo Stefano. Mentre accetta di buon grado il colloquio con i parlamentari del Gruppo speciale per il Medio Oriente e per il Mediterraneo, Lockear manda a dire che non intende in questa sede rispondere alle domande di giornalisti. Nella seconda e ultima giornata di lavori del seminario dell'Allenza atlantica, tra i quesiti sollevati da Giorgio La Malfa e dall'ex ministro della Difesa italiano Arturo Parisi, la relazione del comandante in capo scivola dal Kosovo, alla Serbia, al Montenegro e alla Bosnia fino a toccare le sponde settentrionali dell'Africa. Con un aggiornamento sulle procedure dell'embargo e dell'interdizione aerea sulla Libia. Messe a fuoco sul flusso dei fuoriusciti dal Paese sotto l'attacco Nato: finora i profughi superano il milione e 100mila. Memorandum sulle condizioni per la fine dei raid dal clelo, che sino a ieri hanno superato la quota di 13mila (colpiti 26mila bersagli a terra e in volo). Rispondendo a una serie di obiezioni avanzate da parlamentari russi, francesi, inglesi, canadesi e belgi, prima di allontanarsi dal Main Conferecence l'ammiraglio conferma come il Comando Nato, da Napoli, stia uniformandosi in modo preciso alle direttive delle Nazioni unite. «E in questo senso la nostra azione potrà cessare solo a fronte di tre condizioni», dice. Per elencarle subito dopo: cessate il fuoco, ritiro nelle caserme dell'esercito che sostiene Gheddafi, garanzie sulla possibilità di far arrivare aiuti e soccorsi alle popolazioni che si sono sollevate contro il colonnello. C'è il tempo, prima della fine dei lavori, per un'ultima battuta su quella rete di controlli radar che in Sardegna sta suscitando tante polemiche. «Ne abbiamo parlato anche con Parisi di recente - commenta il senatore Antonello Cabras, prossimo presidente dello Special Group dei parlamentari membri del Patto atlantico - capisco le ragioni degli amministratori e delle popolazioni locali. Ma dobbiamo trovarci nella condizione di poter vedere chi giunge sino a casa nostra. E dal tipo di apparecchi che la Finanza intende adottare francamente non mi pare che esistano problemi per la salute: si parla di un dispositivo di produzione israeliana che è installato a bordo di medi e grandi yacht e usato comunemente». A parte queste brevi considerazioni, il vertice Nato si chiude a tempo di record, così com'era cominciato. E così dalla tarda serata di ieri è iniziata la smobilitazione generale delle centinaia di uomini della polizia, dei carabinieri, della guardia costiera e delle fiamme gialle messi in campo per garantire la sicurezza dei partecipanti al convegno. Tra prove di dialogo a distanza, qualche clamorosa rottura come quella degli israeliani con il vicepremier dell'Iran e molti passi avanti nel disgelo tra Paesi spesso contrapposti, un test positivo per il Gruppo speciale e per La Maddalena. dall'inviato Pier Giorgio Pinna LA MADDALENA - Volete sapere perché c'è fretta di piazzare tanti radar sulle coste sarde? La risposta, indirettamente, la dà il comandante della Nato per il Sud Europa e per l'Africa: "Dobbiamo garantire la sicurezza nel Mediterraneo: attraverso i nostri apparati di controllo oggi possiamo vigilare sul 60% degli specchi d'acqua, in futuro dovremmo portare questo livello al 70-80%. Al vertice del Patto atlantico l'ammiraglio Usa Samuel J. Locklear III spiega che gli Stati membri dell'Alleanza atlantica sono impegnati a mantenere "un clima legale e sicuro" nei traffici marittimi. Riferimento non soltanto ai flussi migratori, ma a un quadro che s'inserisce piuttosto in una chiave di lettura internazionale che comprende la possibile presenza vicino alle coste europee di forze ostili alla Nato. "Dobbiamo contare su una rete analoga a quella usata contro i narcotrafficanti", precisa ancora l'alto ufficiale, chiamato alla Maddalena per parlare della guerra in Libia e delle altre situazioni di crisi nel Mediterraneo, come i Balcani. "E per farlo non è indispensabile avere nostre unità costantemente in mare per svolgere compiti di pattugliamento - aggiunge - E' sufficiente che la Marina, grazie alla sorveglianza dei radar, possa intervenire rapidamente, dove necessario, e anche per evitare catastrofi umanitarie". Occasione e circostanze non consentono invece all'ammiraglio di dir nulla sul ruolo strategico della Sardegna. Né di riferire qualcosa sulle voci (sempre smentite) di una possibile riapertura della ex base Us Navy a Santo Stefano. Mentre accetta di buon grado il colloquio con i parlamentari del Gruppo speciale per il Medio Oriente e per il Mediterraneo, Lockear manda a dire che non intende in questa sede rispondere alle domande di giornalisti. Nella seconda e ultima giornata di lavori del seminario dell'Allenza atlantica, tra i quesiti sollevati da Giorgio La Malfa e dall'ex ministro della Difesa italiano Arturo Parisi, la relazione del comandante in capo scivola dal Kosovo, dalla Serbia, al Montenegro e alla Bosnia fino a toccare le sponde settentrionali dell'Africa. Con un aggiornamento sulle procedure dell'embargo e dell'interdizione aerea sulla Libia. Messe a fuoco sul flusso dei fuoriusciti dal Paese sotto l'attacco Nato: finora i profughi superano il milione e 100mila. Memorandum sulle condizioni per la fine dei raid dal clelo, che sino a ieri hanno superato la quota di 13mila (colpiti 26mila bersagli a terra e in volo). Rispondendo a una serie di obiezioni avanzate da parlamentari russi, francesi, inglesi, canadesi e belgi, prima di allontanarsi dal Main Conferecence l'ammiraglio conferma come il Comando Nato, da Napoli, stia uniformandosi in modo preciso alle direttive delle Nazioni unite. "E in questo senso la nostra azione potrà cessare solo a fronte di tre condizioni", dice. Per elencarle subito dopo: cessate il fuoco, ritiro nelle caserme dell'esercito che sostiene Gheddafi, garanzie sulla possibilità di far arrivare aiuti e soccorsi alle popolazioni che si sono sollevate contro il colonnello. C'è il tempo, prima della fine dei lavori, per un'ultima battuta su quella rete di controlli radar che in Sardegna sta suscitando tante polemiche. "Ne abbiamo parlato anche con Parisi di recente - commenta il senatore Antonello Cabras, prossimo presidente dello Special Group dei parlamentari membri del Patto atlantico - Capisco le ragioni degli amministratori e delle popolazioni locali. Ma dobbiamo trovarci nella condizione di poter vedere chi giunge sino a casa nostra. E dal tipo di apparecchi che Finanza intende adottare francamente non mi pare che esistano problemi per la salute: si parla di un dispositivo di produzione israeliana che è installato a bordo di medi e grandi yacht e usato comunemente". A parte queste brevi considerazioni, il vertice Nato si chiude a tempo di record,così com'era cominciato. E dalla tarda serata di ieri inizia la smobilitazione generale delle centinaia di uomini della polizia, dei carabinieri, della guardia costiera e delle fiamme gialle messi in campo per garantire la sicurezza dei partecipanti al convegno. Tra prove di dialogo a distanza, qualche clamorosa rottura come quella degli israeliani con il vicepremier dell'Iran e molti passi avanti nel disgelo tra Paesi spesso contrapposti, un test positivo per il Gruppo speciale e per La Maddalena. dall'inviato Pier Giorgio Pinna LA MADDALENA - Volete sapere perché c'è fretta di piazzare tanti radar sulle coste sarde? La risposta, indirettamente, la dà il comandante della Nato per il Sud Europa e per l'Africa: "Dobbiamo garantire la sicurezza nel Mediterraneo: attraverso i nostri apparati di controllo oggi possiamo vigilare sul 60% degli specchi d'acqua, in futuro dovremmo portare questo livello al 70-80%. Al vertice del Patto atlantico l'ammiraglio Usa Samuel J. Locklear III spiega che gli Stati membri dell'Alleanza atlantica sono impegnati a mantenere "un clima legale e sicuro" nei traffici marittimi. Riferimento non soltanto ai flussi migratori, ma a un quadro che s'inserisce piuttosto in una chiave di lettura internazionale che comprende la possibile presenza vicino alle coste europee di forze ostili alla Nato. "Dobbiamo contare su una rete analoga a quella usata contro i narcotrafficanti", precisa ancora l'alto ufficiale, chiamato alla Maddalena per parlare della guerra in Libia e delle altre situazioni di crisi nel Mediterraneo, come i Balcani. "E per farlo non è indispensabile avere nostre unità costantemente in mare per svolgere compiti di pattugliamento - aggiunge - E' sufficiente che la Marina, grazie alla sorveglianza dei radar, possa intervenire rapidamente, dove necessario, e anche per evitare catastrofi umanitarie". Occasione e circostanze non consentono invece all'ammiraglio di dir nulla sul ruolo strategico della Sardegna. Né di riferire qualcosa sulle voci (sempre smentite) di una possibile riapertura della ex base Us Navy a Santo Stefano. Mentre accetta di buon grado il colloquio con i parlamentari del Gruppo speciale per il Medio Oriente e per il Mediterraneo, Lockear manda a dire che non intende in questa sede rispondere alle domande di giornalisti. Nella seconda e ultima giornata di lavori del seminario dell'Allenza atlantica, tra i quesiti sollevati da Giorgio La Malfa e dall'ex ministro della Difesa italiano Arturo Parisi, la relazione del comandante in capo scivola dal Kosovo, dalla Serbia, al Montenegro e alla Bosnia fino a toccare le sponde settentrionali dell'Africa. Con un aggiornamento sulle procedure dell'embargo e dell'interdizione aerea sulla Libia. Messe a fuoco sul flusso dei fuoriusciti dal Paese sotto l'attacco Nato: finora i profughi superano il milione e 100mila. Memorandum sulle condizioni per la fine dei raid dal clelo, che sino a ieri hanno superato la quota di 13mila (colpiti 26mila bersagli a terra e in volo). Rispondendo a una serie di obiezioni avanzate da parlamentari russi, francesi, inglesi, canadesi e belgi, prima di allontanarsi dal Main Conferecence l'ammiraglio conferma come il Comando Nato, da Napoli, stia uniformandosi in modo preciso alle direttive delle Nazioni unite. "E in questo senso la nostra azione potrà cessare solo a fronte di tre condizioni", dice. Per elencarle subito dopo: cessate il fuoco, ritiro nelle caserme dell'esercito che sostiene Gheddafi, garanzie sulla possibilità di far arrivare aiuti e soccorsi alle popolazioni che si sono sollevate contro il colonnello. C'è il tempo, prima della fine dei lavori, per un'ultima battuta su quella rete di controlli radar che in Sardegna sta suscitando tante polemiche. "Ne abbiamo parlato anche con Parisi di recente - commenta il senatore Antonello Cabras, prossimo presidente dello Special Group dei parlamentari membri del Patto atlantico - Capisco le ragioni degli amministratori e delle popolazioni locali. Ma dobbiamo trovarci nella condizione di poter vedere chi giunge sino a casa nostra. E dal tipo di apparecchi che Finanza intende adottare francamente non mi pare che esistano problemi per la salute: si parla di un dispositivo di produzione israeliana che è installato a bordo di medi e grandi yacht e usato comunemente". A parte queste brevi considerazioni, il vertice Nato si chiude a tempo di record,così com'era cominciato. E dalla tarda serata di ieri inizia la smobilitazione generale delle centinaia di uomini della polizia, dei carabinieri, della guardia costiera e delle fiamme gialle messi in campo per garantire la sicurezza dei partecipanti al convegno. Tra prove di dialogo a distanza, qualche clamorosa rottura come quella degli israeliani con il vicepremier dell'Iran e molti passi avanti nel disgelo tra Paesi spesso contrapposti, un test positivo per il Gruppo speciale e per La Maddalena. LA MADDALENA - Una stretta di mano sancisce una nuova intesa dopo mille incomprensioni. E' quella che vede uniti sotto gli occhi delle telecamere e dei flash l'ex premier di Baghdad Ayad Hashim Allawi e l'inviato del Kurdistan iracheno Nechirvan Idris Barzani. Nei loro interventi, durante la giornata conclusiva dei lavori del summit organizzato dall'Assemblea dei parlamentari dei Paesi Nato, i due protagonisti della mattinata hanno parlato a lungo delle difficoltà interne. Soffermandosi sulle persecuzioni che hanno visto vittime curdi e cristiani in questa regione travagliata da conflitti e interventi militari di ogni genere. Un processo di distensione seguito con particolare interesse dai rappresentanti degli Stati ospitati nell'arcipelago sardo. Allawi ha sottolineato come nel suo Paese si risenta ancora degli effetti negativi prodotti dalla tirannia di Saddam Hussein. "Ecco perché - ha convenuto l'ex primo ministro - la comunità internazionale deve continuare ad assicurare il proprio sostegno". "Soltanto grazie a quest'appoggio riusciremo a ritrovare la stabilità necessaria e a superare gli ostacoli cheper il momento impediscono all'Iraq di raggiungere la piena democrazia", è stata la conclusione.

da LA NUOVA SARDEGNA