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giovedì 28 luglio 2011

Radar sulle coste, il governo non sa spiegare


È una nuova servitù: la rete C4I è un sistema militare di controllo e spionaggio. Il ministro Vito risponde all’interrogazione dei deputati Pes e Calvisi leggendo una nota della Guardia di finanza
ROMA. A dir poco imbarazzante: il governo non risponde all'interrogazione di un gruppo di deputati del Pd (primi firmatari Caterina Pes e Giulio Calvisi) sulla costruzione della rete di radar sulla costa occidentale della Sardegna. O meglio, fa rispondere alla Guardia di finanza. Un atto di insipienza politica sconcertante, che potrebbe anche essere interpretato come un totale disinteresse politico verso il problema.

Come se la questione dei radar sulle coste sarde appartenesse ad altri ambienti, come se fosse un problema tutto interno a corpi armati dello Stato. A Giulio Calvisi, che ha presentato l'interrogazione nel question time di ieri pomeriggio, il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito ha risposto con improvvido candore: «Signor presidente, do lettura della risposta fornita dal ministero dell'Economia e delle Finanze, che riporta gli elementi pervenuti dal comando generale della Guardia di finanza».

Ma non basta. C'è poi anche un'altra beffa: è stata data una risposta che non risponde alle domande. Non si parla infatti di nuove servitù militari e non si parla del fatto che i sistemi radar sono due (uno della Finanza e uno delle Capitanerie di porto. Neppure una parola, infine, sulla domanda di trasparenza. Pes e Calvisi, infatti, chiedevano al ministro dell'Economia «se non fosse opportuno e urgente rendere pubblico l'elenco di tutti i progetti in corso che prevedono l'installazione dei radar sulle coste della Sardegna per conto della Guardia di finanza e della Guardia costiera».

E invece, nella risposta all'interrogazione, il governo (ma sarebbe meglio dire la Finanza) parla genericamente di «rendere più efficiente ed efficace l'onerosa attività di vigilanza delle acque prospicienti il territorio italiano». Troppo poco davvero.

Ma c'è un passaggio, solo poche parole, che apre uno scenario inquietante: «La realizzazione della rete radar costiera è destinata a integrare il sistema di comando e controllo C4I del Corpo, dichiarato segreto». Del possibile sbarco di clandestini e del contrasto ai traffici illeciti, pericoli finora evocati per giustificare i radar, dunque non si fa parola. C'è invece questa sigla criptica che nasconde una verità scomoda che finora nessuno ha voluto dire. Sì, perché il C4I altro non è che un sistema complesso e articolato di sorveglianza e controllo elettronico militare. Non è un caso che le funzioni di intelligence, sulle competenze raggruppate nella sigla C4I (comando, controllo, comunicazione, computer, informazione) vengono assolte in parte dai servizi segreti (Aise e Aisi) e in parte dalla Brigata Rista-Ew, che raggruppa le unità di guerra elettronica appartenenti all'esercito italiano, alle dipendenze del Comando delle Trasmissioni e Informazioni dell'Esercito. La sigla Rista-Ew sta per Reconnaissance, intelligence, surveillance, target acquisition - Electronic warfare.


Insomma stiamo parlando di una nuova e sofisticatissima servitù militare per la Sardegna. Elemento che è stato colto benissimo da Caterina Pes e da Giulio Calvisi. E infatti, i due deputati del Pd dicono dopo il question time: «Siamo sconcertati per la risposta che il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito ha dato nel corso del question time all'interrogazione presentata dai parlamentari sardi del Pd sul progetto di installazione dei radar sulla costa occidentale della Sardegna. Il ministro ha sorvolato sulla nostra precisa domanda: quanti sono i radar da installare, dove verranno precisamente collocati e quali sono di pertinenza della Guardia costiera e quali della Guardia di finanza?».

«Rimane aperta un'altra questione, forse la più importante - dicono ancora Pes e Calvisi -: i siti adibiti all'installazione dei radar, infatti rischiano, in assenza di smentite, di aumentare il peso delle servitù militari in Sardegna, Non si può infine prescindere dalla posizione espressa dalle popolazioni dei territori in cui dovrebbero essere collocati i radar».

da La Nuova Sardegna

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