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venerdì 13 gennaio 2012

Guerra alla Libia con settecento super bombe italiane

di Antonio Mazzeo
“Le operazioni condotte nel 2011 sui cieli libici hanno rappresentato per l’Aeronautica Militare italiana l’impegno più imponente dopo il 2° Conflitto Mondiale”. È orgogliosissimo il Capo di Stato maggiore delle forze aeree, generale Giuseppe Bernardis. L’Italia repubblicana ha conosciuto i teatri di guerra dell’Iraq, della Somalia, del Libano, dei Balcani, dell’Afghanistan e del Pakistan, ma mai avevamo sganciato tante bombe e tanti missili aria-terra come abbiamo fatto in Libia per spodestare e consegnare alla morte l’ex alleato e socio d’affari Muammar Gheddafi. Una guerra record di cui però è meglio non andare fieri: secondo i primi dati ufficiali – ancora parziali – i nostri cacciabombardieri hanno martoriato gli obiettivi libici con 710 tra bombe e missili teleguidati. Cinquecentoventi bombe e trenta missili da crociera a lunga gittata li hanno lanciati i “Tornado” e gli AMX dell’Aeronautica; centosessanta testate gli AV8 “Harrier” della Marina militare. Conti alla mano si tratta di quasi l’80% delle armi di “precisione” a guida laser e GPS in dotazione alle forze armate. Un arsenale semi-azzerato in poco più di centottanta giorni di conflitto; il governo ha infatti autorizzato i bombardamenti solo il 25 aprile 2011 (56° anniversario della Liberazione) e la prima missione di strike in Libia è stata realizzata tre giorni dopo da due caccia “Tornado” decollati dall’aeroporto di Trapani Birgi.

“Le munizioni utilizzate dalle forze aeree italiane sono state le bombe GBU-12, GBU-16, GBU-24/EGBU-24, GBU-32, GBU-38, GBU-48 e i missili AGM-88 HARM e Storm Shadow, con una percentuale di successo superiore al 96%”, elenca diligentemente lo Stato Maggiore dell’AMI. Inutile chiedere cosa o chi sia stato colpito nel restante 4% degli attacchi dove sono state sganciate più di trenta bombe di “precisione”. Dettagliata è invece la descrizione del documento “Unified Protector: le capacità di attacco dell’AM” (6 giugno 2011) sulle caratteristiche tecniche di questi strumenti di distruzione e di morte. “I sistemi d’arma a guida laser sono stati sviluppati negli anni ‘80 con i primi test eseguiti dalla Lockheed Martin e sono stati utilizzati nei più recenti conflitti, dalla guerra del Golfo alle operazioni sui Balcani, Iraq e Afghanistan”, scrivono i comandanti delle forze aeree. “La GBU-16 è un armamento a guida laser Paveway II, basato essenzialmente su bombe della serie MK83 da 495 Kg. Della stessa famiglia di ordigni fa parte la GBU-12 (corpo bomba MK82, 500 libbre). La GBU-24 è invece un armamento basato essenzialmente sia sul corpo di bombe della serie MK da 907 Kg. che delle bombe penetranti BLU-109 modificate con un kit per la guida laser Paveway III. Sviluppato per rispondere alle sofisticate difese aeree nemiche, scarsa visibilità e limitazioni a bassa quota, l’armamento consente lo sgancio a bassa quota e con una capacità di raggio in stand off (oltre 10 miglia) tale da ridurre le esposizioni”. Ancora più sofisticate le bombe GBU-24/EGBU-24, guidate con doppia modalità GPS e laser ed usate “per distruggere i più resistenti bunker sotterranei” e le GBU-32 JDAM (Joint Direct Attack Munition) da 1.000 e 2.000 libbre, che possono essere lanciate in qualsiasi condizioni meteo, sino a 15 miglia dagli obiettivi, “per ingaggiare più target con un singolo passaggio”.
“Lo Storm Shadow è un missile aviolanciabile con telecamera a raggi infrarossi a guida Gps che può colpire obiettivi di superficie in profondità, a prescindere dalla difesa aerea, grazie alle sue caratteristiche stealth”, recita il report dell’Aeronautica. Sviluppato a partire dal 1997 dalla ditta inglese MBDA, il vettore è lungo cinque metri, pesa 1.300 Kg, ha un raggio d’azione superiore ai 250 km e può trasportare una testata di 450 kg. “È utilizzabile contro obiettivi ben difesi come porti, bunker, siti missilistici, centri di comando e controllo, aeroporti e ponti. La carica esplosiva è infatti ottimizzata per neutralizzare strutture fisse corazzate e sotterranee”. Le coordinate del target e la rotta di volo dello Storm Shadow vengono pianificate a terra e successivamente inserite all’interno del missile durante la fase di caricamento sul velivolo. “Una volta lanciato, raggiunge l’obiettivo assegnato navigando in ogni condizione di tempo, di giorno o di notte in maniera assolutamente autonoma utilizzando gli apparati di bordo e confrontando costantemente la sua posizione con il terreno circostante”. L’altro missile aria-superficie impiegato dai caccia italiani è l’AGM-88 HARM (High-speed Anti Radiation Missile) della Raytheon Company, ad alta velocità e un raggio d’azione di 150 km, in grado di individuare e “sopprimere” i radar nemici.
Secondo il generale Bernardis, nei sette mesi di operazioni in Libia, “i velivoli dell’Aeronautica Militare italiana hanno eseguito 1.900 missioni con oltre 7.300 ore di volo, pari al 7% delle missioni complessivamente condotte dalla coalizione internazionale a guida NATO”. Attacchi e bombardamenti sono stati appannaggio dei cacciabombardieri “Tornado” versione IDS (Interdiction and Strike) del 6° Stormo di Ghedi (Brescia) e dei monoreattori italo-brasiliani AMX del 32° Stormo di Amendola (Foggia) e del 51° Stormo di Istrana (Treviso). Per la “soppressione delle difese aeree” e il controllo della no-fly zone sono stati impiegati i “Tornado” ECR (Electronic Combat Reconnaissance) del 50° Stormo di Piacenza, i cacciabombardieri F-16 del 37° Stormo di Trapani-Birgi e gli “Eurofighter 2000” del 4° Stormo di Grosseto e del 36° di Gioia del Colle (Bari). “L’AMI ha pure impiegato i velivoli da trasporto C-130 “Hercules”, i tanker KC-130J e Boeing KC-767 per il rifornimento in volo e, nelle ultime fasi del conflitto, gli aerei a pilotaggio remoto Predator B per missioni di riconoscimento”. Sui cieli libici hanno pure fatto irruzione un velivolo G.222VS “per la rilevazione e il contrasto delle emissioni elettromagnetiche” e un C-130 per quella che è stata definita dal comandante di squadra aerea, Tiziano Tosi, come una “PsyOP – Psycological Operation”, finalizzata a “influenzare a proprio vantaggio la coscienza e la volontà della popolazione interessata”. Su Tripoli e altre città libiche sono stati lanciati centinaia di migliaia di volantini, il cui testo è stato concordato con il Comitato nazionale provvisorio di Bengasi. “La Libia è una e la sua capitale è Tripoli”, il titolo. “Vi chiediamo di unirvi tutti e prendere la decisione giusta e saggia. Unitevi alla nostra rivoluzione. Costruiamo a Libia lontano da Gheddafi. Libia unificata, libera, democratica”.
Quasi tutti i velivoli da guerra italiani sono stati schierati sulla base aerea di Trapani nell’ambito del Task Group Air Birgi, da cui dipendevano anche gli aerei senza pilota Predator B, operanti però dallo scalo pugliese di Amendola. Pisa e Pratica di Mare, gli aeroporti per le operazioni dei velivoli da trasporto o rifornimento. “Le operazioni d’intelligence, sorveglianza e ricognizione sono state effettuate grazie alla disponibilità di speciali apparecchiature elettroniche Pod Reccelite in dotazione ai “Tornado” e agli AMX”, scrive ancora lo Stato Maggiore. “Sugli oltre 1.600 target di ricognizione assegnati ai velivoli italiani, sono state realizzate più di 340.000 foto ad alta risoluzione, mentre circa 250 ore di filmati sono stati trasmessi in tempo reale dai Predator B”. Le missioni di attacco al suolo sono state pianificate e condotte “contro obiettivi militari predeterminati e definiti, o contro target dinamici nell’ambito di aree di probabile concentrazione di obiettivi nemici”. Probabile, dunque e non certa la concentrazione degli obiettivi militari. E gli effetti collaterali si confermano elemento integrante delle strategie di guerra del Terzo millennio…
I condottieri dell’Aeronautica Militare forniscono infine la percentuale delle ore di volo relative alle differenti tipologie di missione: il 38% ha riguardato pattugliamenti e “difese aeree” (DCA); il 23% attività di “sorveglianza e ricognizione” (ISR); il 14% l’attacco al suolo contro “obiettivi predeterminati” (OCA); l’8% la “neutralizzazione delle difese aeree nemiche” (SEAD); un altro 8% il rifornimento in volo (AAR); il 5% la “ricognizione armata e l’attacco a obiettivi di opportunità” (SCAR); il restante 4% “la rilevazione e il contrasto delle emissioni elettromagnetiche” (ECM). Come dire che ogni quattro velivoli decollati, uno serviva per colpire, ferire, uccidere.
Anche la Marina militare ha fornito dati numerici sull’intervento dei propri mezzi in Libia. Otto aerei a decollo verticale AV8 B Plus “Harrier”, stazionati sulla portaerei “Garibaldi”, hanno effettuato missioni di interdizione ed attacco per complessive 1.223 ore, utilizzando i missili aria-aria a guida infrarossa AIM-9L “Sidewinder”, quelli a medio raggio a guida laser “AMRAAM”, gli aria-terra “Maverick” e le bombe del tipo Mk82 ed Mk20. Una trentina gli elicotteri EH-101, SH-3D ed AB-212 assegnati ad Unified Protector, per complessive 3.311 ore di volo. Tremila e cinquecento gli uomini e le donne imbarcati su due sottomarini (“Todaro” e “Gazzana”) e quattordici unità navali (tre delle quali, “Etna”, “Garibaldi” e “San Giusto”, utilizzate in periodi diversi come sedi del Comando per le operazioni marittime NATO).
Come sen non bastasse, i vertici delle forze armate fanno sapere che l’80% circa delle missioni aeree alleate sono partite da sette basi italiane (Amendola, Aviano, Decimomannu, Gioia del Colle, Pantelleria, Sigonella e Trapani Birgi). “In questi aeroporti, l’Aeronautica Militare ha assicurato il supporto tecnico e logistico, sia per gli aerei italiani sia per i circa 200 aerei di undici paesi della Coalizione internazionale (Canada, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Francia, Giordania, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Turchia), schierati sul territorio nazionale. In sostanza, il personale e i mezzi della forza armata sono stati impegnati in maniera continuativa per fornire l’assistenza a terra, il rifornimento di carburante, il controllo del traffico aereo, l’alloggiamento del personale, ecc.”.
Piattaforma avanzata per il 14% di tutte le sortite aeree di Unified Protector lo scalo siciliano di Trapani, da cui sono transitati pure 300 aerei cargo e circa 2.000 tonnellate di materiale. Dalla Forward Operating Base (FOB) di Birgi, uno dei quattro centri di cui dispone la NATO nello scacchiere europeo, hanno operato anche gli aerei radar AWACS, “assetti essenziali alle moderne operazioni aeree per garantire una efficace capacità di comando e controllo”. Lo Stato Maggiore AMI ricorda infine “l’importante supporto di personale specializzato nel campo della pianificazione operativa offerto ai vari livelli della catena di comando e controllo NATO, attivata in tutta Italia”, all’interno del Joint Force Command di Napoli e del Combined Air Operation Center 5 di Poggio Renatico (Ferrara).
No comment invece sul costo finanziario sostenuto per le tremila missioni e le oltre 11.800 ore di volo dei velivoli italiani impiegati nella guerra alla Libia. Possibile però azzardare una stima di massima tenendo conto delle spese per ogni ora di missione dei cacciabombardieri (secondo Il Sole 24Ore, 66.500 euro per l’“Eurofigher 2000”, 32.000 per il “Tornado”, 19.000 per l’F-16, 11.500 per il C-130 “Hercules” e 10.000 per l’“Harrier”). Prendendo come media un valore di 20.000 euro e moltiplicato per il numero complessivo di ore volate, si raggiunge la spesa di 236.220.000 euro. Vanno poi aggiunti i costi delle armi di “precisione” impiegate (dai 30 ai 50.000 euro per le bombe a guida laser e Gps, dai 150.000 ai 300.000 per i missili “intelligenti”). Limitandosi ad un valore medio unitario di 40.000 euro, per le 710 munizioni sganciate sul territorio libico il contribuente italiano avrebbe speso non meno di 28.400.000 euro. Così, solo per “accecare” radar, intercettare convogli e bombardare a destra e manca abbiamo sperperato non meno di 260 milioni. Fortuna che c’era la crisi.

KEYNESISMO MILITARE?

MENTRE I PROLETARI GRECI TIRANO LA CINGHIA,
I PAPPONI DELL’INDUSTRIA MILITARE FANNO NUOVI AFFARI.
Con buona pace dei redivivi keynesiani, il governo greco non getta tutti i quattrini nel girone infernale della speculazione finanziaria, ma un pochino li destina a un settore produttivo, forse un dei pochi che tira, quello militare.
Circa 3,9 miliardi vanno per 60 Eurofighter, altri 4 miliardi sono per le fregate Made in France e infine 400 milioni per le motovedette, sempre più utili per «scoraggiare» i flussi migratori via mare. Per la modernizzazione della flotta greca, è previsto uno stanziamento altrettanto imponente. Intanto devono arrivare due sottomarini di fabbricazione tedesca.
Per ora, la fanteria si accontenta di poco, chiede solo un po’ di munizioni per i carri pesanti Leopard. Per ora aspetta che arrivino gli elicotteri Apache, di fabbricazione americana.
E intanto, zitta zitta, l’industria bellica tedesca si prepara a far la parte del leone, quando, in marzo, verrà stanziata la seconda tranche di «aiuti» alla Grecia (80 miliardi).

Un anno di guerra

Il 29 dicembre, è stato pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” il Decreto Legge n. 215 sul finanziamento delle missioni militari, approvato nel Consiglio dei Ministri del 23 dicembre 2011. Per la prima volta le missioni militari sono state finanziate per l’intero anno, il 2012, dal 1° gennaio al 31 dicembre, e non per ogni semestre.
La ricetta per uscire dalla “crisi” è molto chiara: la guerra.
In tanto si scopre che per 15 giorni, dal 1° ottobre al 15 ottobre 2011, la missione italiana in Libia (caratterizzata dai maggiori bombardamenti che Lo Stato abbia realizzato dalla Seconda Guerra Mondiale) non era finanziata, il rapporto economico dei militari in missione non in regola, la missione non autorizzata da nessuno, ma, come testimoniano due resoconti settimanali pubblicati dal sito del Ministero della Difesa, il governo ha partecipato alle operazioni militari con personale, mezzi e soprattutto con 7 basi aeree che hanno ospitato 120 aerei stranieri.
Ora questo decreto toglie per 12 mesi ogni problema a un eventuale prossimo governo che potrebbe succedere a Monti. Tutti d’accordo.
Il PD fa finta di scoprire lo “spreco degli F-35” di cui in passato ha sempre sostenuto l’acquisto. Intanto il governo Monti, appoggiato in maniera determinante da parte del centro-sinistra, ha fatto ciò che nessun governo aveva fatto: finanziare le missioni di guerra per l’intero anno.

domenica 8 gennaio 2012

da La Nuova Sardegna, 4 gennaio 2012


Carloforte, mentre riparte la mobilitazione contro l’installazione dei radar. Ambiente, nasce l’eco sportello.
CARLOFORTE. Nasce l’eco-sportello per dare informazioni ambientali e raccogliere le istanze dei cittadini, come quelle relative ai radar che dovrebbero essere in istallati a Capo Sandalo, nella foto di Lo ha istituito nei giorni scorsi il Comune di Carloforte, in collaborazione con il Gruppo di Intervento Giuridico e gli Amici della Terra, che ha attivato un apposito ufficio al secondo piano municipale (aperto al pubblico ogni lunedì mattina, dalle 9 alle 12), oltrechè un apposito link sul sito web comunale (all’indirizzo: comune.carloforte.ca.it) ed una email (ecosportellocarloforte@gmail.com). Il nuovo servizio ha l’obiettivo di divulgare le informazioni relative alle tematiche ambientali di interesse per l’isola di San Pietro: quali le energie rinnovabili, il risparmio energetico e la raccolta differenziata. Ma potranno essere inoltrati anche quesiti e segnalazioni dei cittadini in materia di ambiente e sostenibilità. La presenza delle associazioni ecologiste Gruppo di Intervento Giuridico e Amici della Terra, negli ultimi anni si è fatta particolarmente sentire a Carloforte, con l’obiettivo di fornire un supporto tecnico in materia ambientale e denunciare episodi di abusivismo edilizio, inquinamento e deturpazione del paesaggio. Di recente, anche attraverso la mobilitazione di un comitato cittadino, è stata ribadita la contrarietà all’installazione di due radar (a cura di Guardia Costiera e Guardia di Finanza) presso il faro di capo Sandalo. Mancando fino a questo momento le procedure di valutazione ambientale ed autorizzative, le associazioni ambientaliste si sono rivolte agli enti competenti, auspicando un pronto intervento per evitare l’installazione dei radar in zone protette dell’isola di San Pietro, ancora selvagge e ricche di biodiversità.

venerdì 6 gennaio 2012

da disinformazione.it

"Chi vive entro due chilometri rischia tumori del sangue" 
Parla Livio Giuliani, il responsabile dell'Unità Radiazioni dell'Ispesl Livio Giuliani è il responsabile dell'Unità radiazioni dell'Ispesl, l'Istituto superiore per la prevenzione e per la sicurezza del lavoro, incaricato di rilasciare il nulla osta per l'installazione di nuovi impianti.
Dottor Giuliani, le antenne sono pericolose? 
«Bisogna distinguere tra basse frequenze, che sono quelle degli elettrodotti, e le alte frequenze, per la radiotelevisione e i cellulari. Nel primo caso, la ricerca è arrivata a risultati conclusivi: quando le emissioni sono superiori a 0,4 microtesla, raddoppia il rischio di leucemia infantile. Teniamo presente che il limite della nostra legge ormai superata è di 100 microtesla».
Cosa succede con le antenne per le televisioni e i telefonini?
«Studi compiuti in Australia e in Inghilterra hanno provato che per le persone che vivono entro 2 chilometri dalle torri di emissione elettromagnetica aumenta il rischio di tumori del sangue e del sistema linfatico».
La situazione delle torri australiane o inglesi è assimilabile a quella dei siti romani?
«Le torri hanno una potenza da 10.000 kilowatt. Le antenne Rai e Mediaset a Monte Mario sono di quell'ordine di grandezza, anche gli impianti a Monte Cavo e a Santa Palomba».
Oltre a studi epidemiologici, cioè basati sull'evidenza delle malattie, ci sono anche studi sperimentali, cioè di laboratorio? 
«In Australia hanno lavorato con topi geneticamente modificati per ammalarsi spontaneamente di linfoma. La manipolazione è stata fatta per accelerare i tempi dell'esperimento. Metà di questi topi sono stati sottoposti per 18 mesi ad una radiazione identica a quella emessa da un antenna per gsm, mezz'ora la mattina e mezz'ora il pomeriggio. Ebbene, alla fine dei 18 mesi si è visto che nei topi esposti la probabilità di ammalarsi di tumori era aumentata del 240 per cento. Ora io mi appresto a coordinare un esperimento analogo finanziato dal ministro della Sanità su  4500 topi stavolta non manipolati. Per questo motivo lo studio richiederà un tempo maggiore, cinque anni».

Tratto da La Repubblica 11-9-2000



Nuovo caso di allarme nell'esercito: 69 soldati addetti ai radar militari si sono ammalati di cancro tra il 1976 e il 1996. Ma potrebbe essere solo la punta di un iceberg: furono esposti 900 uomini.
BERLINO -  Sessantanove malati di cancro, di cui 24 già morti, e forse si tratta solo della punta di un iceberg. Un autentico bollettino di guerra giunge dalla Germania, questa volta però sotto accusa non sono i proiettili all’uranio impoverito, ma normalissimi radar militari. Finora, almeno ufficialmente, ritenuti innocui. A lanciare l’allarme è stata il secondo canale televisivo pubblico “Zdf”: l’emittente cita uno studio - in un primo tempo negato, poi confermato dallo stesso ministro della Difesa Rudolf Scharping - che dimostra scientificamente come nel corso di 25-30 anni i militari addetti ai radar siano stati esposti, senza alcuna protezione, a raggi X, un “sottoprodotto” dei raggi emessi dal radar. I risultati sono gravi danni alla salute dei soldati, i sessantanove casi rintracciati sono soltanto un campione, complessivamente il numero di militari esposti in questi anni alle radiazioni si aggira intorno alle 900 unità. L’età media delle morti di cancro - si parla di leucemia, tumori cerebrali, cancro ai nodi linfatici, carcinomi polmonari - è di soli 40 anni. 

Secondo lo studio citato dalla “Zdf”, già alla fine degli anni Cinquanta la Bundeswehr era al corrente dei rischi per i soldati, ma non aveva mai preso alcuna  misura di protezione. Ancora negli anni Novanta i valori massimi sono stati superati ad esempio nel sistema di difesa Patriot.

“Con sicurezza - si legge nello studio - si può affermare che le soglie di tolleranza massima sono state ampiamente superate. I soldati non sono stati né informati né protetti”. Secondo la “Zdf” lo studio era già da due anni in possesso delle autorità militari, che però l’avevano tenuto sotto chiave.

Una pesantissima accusa, cominciano a fioccare le denunce degli ex milari danneggiati. Il primo è l’ex sottoufficiale addetto ai radar Peter Rasch, oggi cinquantanovenne, che negli anni Sessanta si ammalò 39 volte in soli quattro anni, i medici non riuscirono mai a trovare le cause. Più tardi al sottoufficiale fu scoperto un tumore al polmone, fortunatamente guarito da una tempestiva chemioterapia. Rasch ha in mano documenti che dimostrano che già nel 1958 il suo posto di lavoro era stato ispezionato dalle autorità locali, raccomandando ai vertici militari di porre protezioni di piombo intorno alle apparecchiature. Ancora nel 1992 una misurazione aveva rivelato valori 15 volte superiori ai livelli di guardia.
Il ministro Scharping ha ammesso l’esistenza dello studio: “Il numero dei casi registrati è davvero drammatico” - ha detto. Scharping ha chiesto che i tempi dei tempi brevi per i risarcimenti, ma ha difeso il suo dicastero: “Già nel 1962 - ha detto - furono diramate istruzioni di protezione, riprese dalla Nato nel 1978 e solo nel 1984 dalle autorità civili”.
Adesso però si pone un dubbio drammatico: gli impianti radar tedeschi sono spesso analoghi a quelli usati in altri paesi della Nato, Italia inclusa. E se anche altrove non fu usata alcuna protezione, il caso tedesco dei radar potrebbe diventare - come già mucca pazza e i proiettili all’uranio - un caso europeo.
Tratto da www.ilnuovo.it (15 GENNAIO 2001, ORE 12:02)

lunedì 2 gennaio 2012

Repressione e controllo sociale: Selex Elsag a Milipol 2011

Selex Elsag, la nuova realtà industriale di Finmeccanica nata pochi mesi fa dalla fusione tra Selex Communications ed Elsag Datamat, ha preso parte a Milipol, il principale evento internazionale dedicato alle aziende internazionali che si occupano dello sviluppo di tecnologie per il controllo sociale, svoltosi presso il centro espositivo Paris Porte de Versailles, a Parigi, dal 18 al 21 Ottobre scorsi.
All’interno del proprio stand Selex ha presentato un sistema (S3I) capace di fornire in tempo reale immagini continue relative alle condizioni di sicurezza di una struttura, grazie all’integrazione di sensori, telecamere e software di controllo. Alcune grandi aziende che operano a livello internazionale, di cui non è stato fornito il nome, hanno dimostrato interesse per l’acquisto di questo tipo di sistema da utilizzare nella protezione delle proprie infrastrutture.
Selex ha presentato anche il prodotto PSS, una soluzione biometrica portatile per il monitoraggio e il controllo del territorio, sviluppata per le agenzie di sicurezza nazionale e per le forze di polizia, e il braccialetto elettronico ESSI&O (Electronic Surveillance System Indoor and Outdoor), un dispositivo di controllo che consente il continuo monitoraggio della presenza di un individuo all’interno di una determinata area.
DIC242011

Selex Elsag: contratto per le comunicazioni satellitari della N.A.T.O.

Selex Elsag (gruppo Finmeccanica) si è aggiudicata un importante contratto per il rinnovo dei sistemi e dell’infrastruttura per le comunicazioni satellitari della N.A.T.O.
L’azienda di Finmeccanica si occuperà di progettare, costruire, collaudare e mettere in esercizio gli aggiornamenti che permetteranno di garantire elevati livelli di capacità ed efficienza operativa. È anche prevista la creazione, in Belgio, di un nuovo stabilimento per le comunicazioni satellitari.
Le stazioni satellitari di terra ad antenna multipla in Belgio e in Italia, e i siti ad antenna singola in Turchia e in Grecia, verranno aggiornati grazie a nuove tecnologie.
Saranno inoltre effettuate attività di formazione e addestramento presso la scuola N.A.T.O. dei sistemi informatici e di comunicazione di Latina.
Phil Robinson, Senior Vice-President di Selex Elsag UK, ha dichiarato: «Il nostro team con base in Gran Bretagna guiderà un gruppo internazionale di fornitori specializzati per mettere a disposizione una capacità potenziata ma affidabile. Essa consentirà significativi risparmi e importanti benefici operativi per l’agenzia N.A.T.O. NC3A nelle sue attività di supporto alle operazioni militari dell’Alleanza in tutto il mondo».

ASSEMBLEA COMITATI NO RADAR SARDEGNA – Cabras 28-12-2011 –



All'assemblea erano presenti esponenti dei comitati NO RADAR di Argentiera, Cagliari, Carloforte, Sant'Antioco,Tresnuraghes e Capo San Marco, di recente formazione, oltre a cittadini ed esponenti politici, tra cui il sindaco di Cabras Cristiano Carrus. L'obiettivo dell'assemblea era fare il punto della situazione e pianificare le azioni future dei comitati in maniera coordinata. Graziano Bullegas del comitato di Sant'Antioco ha fatto un breve excursus storico sulla lotta dei comitati, sulla vicenda del ricorso al TAR conclusasi con la rinuncia della Guardia di Finanza ad installare i radar nei siti di Tresnuraghes (per Ischia Ruggia), Sant'Antioco per Capo Sperone, Fluminimaggiore per Capo Pecora e Sassari per l'Argentiera, individuando in alternativa 4 aree militari che sono Capo Caccia ad Alghero, Capo San Marco a Cabras, Capo Sandalo nell'isola di San Pietro e Capo Sant'Elia a Cagliari. La partecipazione di un comitato di recente formazione e la presenza in sala cittadini ed esponenti politici che per la prima volta si avvicinavano all'argomento delle installazioni radar, ha determinato un rallentamento dei lavori volti a individuare possibili strategie da promuovere in maniera coordinata. Dagli interventi degli esponenti dei comitati sono scaturite le seguenti proposte di azioni comuni:
  • Iniziative in rete – a turno ogni comitato organizzerà delle iniziative estendendo la partecipazione a tutti i comitati oltre che la popolazione locale
  • Sindaci in rete – sensibilizzare i sindaci dei comuni coinvolti e confinati affinché si mettano in rete e promuovano azioni istituzionali di denuncia e di rifiuto verso le installazioni radar
  • Estensione della rete NO RADAR nella Penisola – allargare la rete alle altre realtà della penisola e coordinare le azioni con l'obiettivo di raggiungere maggiore visibilità e peso
  • Coordinamento nelle relazioni con l'esterno – uniformare le comunicazioni con l'esterno soprattutto con stampa e tv
  • Coinvolgimento della Regione – individuare delle forme efficaci di sensibilizzazione, che potrebbero essere dei sit-in o altro
  • Assicurare presenze frequenti nei siti
  • Presidi sul luogo a turno, ad opera di altri comitati
  • Iniziative per il 25 gennaio 2012, giorno in cui ci sarà la sentenza del TAR

Il comitato Capo San Marco ha proposto come prima iniziativa in rete, una passeggiata nel sito, prevista per sabato 7 gennaio 2012 alle h10.
L'assemblea ha concordato inoltre un prossimo incontro dei comitati NO RADAR stabilito per il 29 gennaio 2012 alle h 10 presso il Centro Polifunzionale di Cabras